Un Paese unito contro l’azzardo

È venuto il momento di compiere un gesto forte, afferma sulle pagine di Avvenire Luigino Bruni, che promuove l'idea di una giornata di digiuno contro il gioco d'azzardo. Con il sostegno delle diocesi e delle parrocchie, l'economista mira a coinvolgere l’intero Paese su un problema che affligge sempre più persone, con gravi danni personali e sociali
Persona gioca al video poker

«Una battaglia titanica». A Don Virginio Colmegna bastano tre parole per descrivere le asperità della lotta contro i Golia del gioco d’azzardo. E poiché l’obiettivo della campagna "Mettiamoci in gioco", presentata ieri a Milano, vuole raggiungere un obiettivo politico, i promotori stavolta sono pronti a mosse senza precedenti. A cominciare da una giornata nazionale di digiuno. Non una scelta a caso: chi aderirà non solo rinuncerà ai pasti, ma offrirà l’equivalente in denaro degli alimenti non consumati per alimentare un fondo destinato alla prevenzione e la cura delle dipendenze dal gioco d’azzardo. Un modo plateale per dire che le scommesse portano alla fame.

Una proposta che piace all’economista Luigino Bruni, tra gli ideatori della campagna "Slot-mob". «Bisogna costruire la giusta modalità. Ma il periodo natalizio si presta a un tempo di riflessione sui mali dell’azzardo – osserva Bruni –. Si sta distruggendo l’economia italiana, dirottando risorse verso un comparto che non produce nuova ricchezza, ma nuovi poveri». Per questa ragione «l’obiettivo è politico e miriamo alla legge di Stabilità – spiega don Colmegna –, perché non è possibile che per far quadrare il bilancio dello Stato si debba favorire il gioco d’azzardo».

Che sia necessario un gesto clamoroso lo dimostra l’ipocrisia delle parole pronunciate da chi, nelle intenzioni, predica la prevenzione ma poi nei fatti razzola in direzione contraria. «Tutti sono contro le slot machine, ma poi quando si tratta di fare cassa non si guarda da dove arrivano quei soldi e quali conseguenze hanno», insiste Colmegna.
Una deriva che negli ultimi giorni ha superato il limite. «C’è chi ha pure il coraggio di proporre un condono per le agenzie illegali di scommesse, gestite da società che non hanno la concessione dei Monopoli di Stato – denuncia il sacerdote che guida a Milano la Casa della Carità -. Noi non ci stiamo, nessuna sanatoria. Ci sarà una rivolta civile se passerà questa proposta».

Il mantra del "fare cassa" ad ogni costo e a qualunque rischio ha spinto intere fasce sociali nel baratro, di pari passo con l’acuirsi della crisi economica. In Italia si è passati da un fatturato di 24,8 miliardi di euro nel 2004 agli 88,5 miliardi del 2012. Solo nel 2013 vi è stato una diminuzione, sfiorando comunque gli 85 miliardi. Il 56,3% del giro d’affari viene dagli "apparecchi" (slot machine e vlt), mentre crescono le puntate sui casinò internet. Se i giocatori sono i veri perdenti di questa febbre d’azzardo, lo Stato in realtà non ci ha guadagnato. No solo per i costi sociali dell’azzardopatia. Ma perché allo stratosferico aumento del fatturato non è affatto seguito un maggior beneficio per l’erario. Nel 2004 finivano nelle casse pubbliche 7,3 miliardi di euro (pari al 29,4% del fatturato complessivo che allora sfiorava i 25 miliardi). Nel 2013, a fronte di volumi triplicati, lo Stato incassava  8,1 miliardi, solo 800 milioni in più di nove anni prima.

«È venuto il momento di compiere un gesto forte – ribadisce Bruni –. Con il sostegno delle diocesi e delle parrocchie potremo coinvolgere l’intero Paese». E costringere la politica, per dirla con il dizionario dei tavoli verdi, a non barare.

(Per leggere l'articolo di Nello Scalo su Avvenire.it clicca qui)

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