Un nuovo inno per l’Italia?

L'onorevole Bossi vorrebbe sostituire l'inno nazionale con il "Va' pensiero" di Verdi. Ma siamo sicuri che l'opera del compositore di Busseto sarebbe appropriata in questa veste?

L’onorevole Bossi è tornato all’attacco. Bisogna sostituire l’inno nazionale con Va’ pensiero del “padano” Giuseppe Verdi. Il quale, se potesse, rancoroso com’era, risorgerebbe dalla sua tomba milanese a protestare per questa proposta. La giudicherebbe, per usare un termine ricorrente nei suoi melodrammi, “insana” (lascio al lettore verificare l’etimologia del termine…). Il motivo è presto detto, anzi i motivi per cui si infurierebbe sono almeno due. E non vanno sottaciuti.

 

Il primo. Quando nel 1842 ci fu la “prima” del Nabucco al Teatro alla Scala, si cantò certo il coro Va’ pensiero (finale dell’atto terzo), destinato poi a sicura celebrità per la semplice e autentica bellezza della melodia. Nessuno lo percepì come un messaggio antiaustriaco o un canto all’unità nazionale, Verdi non ci pensava nemmeno, tant’è vero che dedicò l’opera ad una arciduchessa austriaca.  Il Nabucco infatti è, sulla scia del Mosè di Rossini, un’opera “sacra”, e il compositore, come ha affermato egli stesso, si riferiva al salmo biblico n. 136 “Presso i fiumi di Babilonia sedevamo”, e a nient’altro.

Solo diversi anni dopo, quando l’unità d’Italia si stava realizzando, i circoli risorgimentali hanno dato a questo e ad altri cori, di Verdi Bellini Rossini eccetera, un significato patriottico, lontani certo dalle intenzioni degli autori.

 

Secondo. Nel 1847 a Londra Verdi incontrò Mazzini. All’epoca il maestro era repubblicano, prima di convertirsi, grazie a Cavour, nel 1860 alla monarchia.

Con Mazzini Verdi decise di comporre un inno nazionale che fu Suona la tromba, nel 1848, i cui versi, vedi un po’, furono scritti dall’amico poeta Goffredo Mameli.

La musica di Verdi non era però convincente se poi Mazzini convolò su quella, di più sicuro effetto marziale, di Michele Novaro. Verdi quindi il suo bravo inno nazionale l’ha già scritto e non vale davvero la pena di ripescarlo o di sostituirlo con altra musica sua.

 

Terzo. Verdi, padano purosangue, era un convinto fautore dell’unità italiana e si diede da fare con i suoi mezzi – musicali ed economici – perché si realizzasse. Fu addirittura deputato nel primo parlamento “italiano” (non padano) del 1860. Poi ebbe la saggezza, ahimè poco in uso oggi, di ritirarsi: gli artisti non sono fatti per la politica attiva: a ciascuno il suo mestiere…

Perciò l’idea ricorrente di Bossi di proporre la musica di un autore “padano” che invece padano non voleva essere ma italiano,e per di più con un brano che tutto è fuorché un inno al riscatto nazionale, suona una offesa alla sua memoria, oltre che un atteggiamento culturalmente non eccelso.

 

E infine. Perché rovinare una pagina così intima e sommessa, una preghiera, riproducendola infinite volte nelle parate militari, nelle partite calcistiche e così via, riducendola ad una marcetta che tutti prima o poi scimmiotteranno? Non siamo abbastanza in basso, culturalmente, onorevole Bossi nel nostro Paese che di bello rischia di averne sempre meno, visto che il buon senso sempre più viene messo da parte? Lasci stare Va’ pensiero nel posto dov’è, tra i momenti più sinceri della nostra musica: non ha bisogno di venire banalizzato, ma rispettato. E teniamoci stretta la marcetta di Novaro-Mameli che, col suo ritmo bandistico, fa ancora una bella figura, perché è calda e autentica. Dice una bandiera, una idea. C’è gente che c’è morta, cantandola.

La storia insegna sempre. Se anche gli onorevoli la ascoltassero!…

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