Un italiano all’estero e i 49 profughi

Un commento sulle vicende, viste dall’Oriente, delle 49 persone a bordo di due navi che verranno ripartite tra 8 Paesi europei
Ansa

Devo essere sincero. Ho vissuto la maggior parte della mia vita fuori dell’Italia e dell’Europa e, anche ora che vi sono ritornato come residenza e sede di lavoro, sono spesso in viaggio, soprattutto in Asia ma non solo.

Mai, come in questi giorni, ho provato vergogna a presentarmi come italiano e come europeo. Un continente che non accoglie 49 persone – parliamo di 49! – dimostra di aver perso la bussola di cosa sia l’umanità. Lo confermano le affermazioni deliranti di alcuni nostri politici (italiani e non solo).

Finalmente, sembra che si sia riuscito a trovare un accordo per accogliere i 49 migranti che da giorni vagano nel Mediterraneo a bordo di due navi che li hanno salvati.

Tuttavia, non si può tacciare di comportamento contro i diritti umani un Paese perché separa uomini e donne allo stadio e, poi, sigillare i propri porti a chi rischia di morire annegato! Il tutto in nome della sicurezza. Sessanta milioni di italiani hanno forse paura di 49 persone inermi ed affamate? Non è certo così, come dimostra la tradizione di accoglienza del nostro popolo, le tante iniziative in atto, nonostante tutto, le numerose risposte a gesti e provvedimenti che di umano hanno ben poco.

Penso che la ricerca di una risposta a questa domanda dovrebbe aiutarci a interrogarci seriamente su quale tipo di comunità stiamo costruendo e su come sia possibile che un amministratore pubblico butti le coperte e gli stracci di un povero che deve vivere per strada.

Siamo fra i Paesi impegnati per difendere i diritti umani e ci dimentichiamo del diritto a migrare e a non migrare, il diritto a scegliere la propria dimora anche se non è nel luogo della nascita o della crescita di una persona. Sembra che l’unico vero diritto sia quello a difendere le frontiere, ovviamente le nostre, e solo quelle. Qualcuno di questi politici di casa nostra o dei Paesi vicini invoca anche la necessità di difendere la propria cultura. Quale? Quella che stiamo dimostrando al mondo oggi?

Oppure, qualcuno azzarda di essere paladino della cultura cristiana. Forse questi non hanno sentito quanto papa Francesco ha chiesto domenica. Ci tengo a ripeterlo per coloro a cui potrebbe essere sfuggito. «Cari fratelli e sorelle, da parecchi giorni 49 persone salvate nel Mare Mediterraneo sono a bordo di due navi di Ong, in cerca di un porto sicuro dove sbarcare. Rivolgo un accorato appello ai leader europei, perché dimostrino concreta solidarietà nei confronti di queste persone».

L’Europa da «dimora delle diversità», come affermava Aristotele nella Politica, è ormai un coacervo di Stati nazionali che cercano di difendere i propri confini senza il minimo senso di ciò che è comune e della comunità.

La prova con l’estraneo, afferma la filosofa Donatella De Cesare, è sempre impegnativa e il nostro Paese e il nostro continente con tutti noi ne stanno uscendo malandati. I nostri Stati-Nazione, nati agli inizi del secolo scorso, dal crollo dei tre grandi imperi – ottomano, austro-ungarico e russo – stanno mostrando i propri limiti.

In questo momento storico, invece, dovremmo renderci conto che, come era avvenuto proprio per quegli imperi – e molti altri in passato a cominciare da quello romano –,si deve reinventare la convivenza umana ed il suo ordine, che resta necessario e fondamentale, ma che pure deve adeguarsi agli sviluppi storici.

 

Proseguendo su questa strada – quella dell’abbandono di 49 persone alla deriva nel Mare Nostrum –, quale sarà il risultato? Non lo conosciamo. Lo sapremo, forse, in un futuro non lontano.

La storia va avanti e bisogna sapere leggere i segni dei tempi come, nei giorni scorsi, ha detto papa Francesco ai diplomatici accreditati presso la Santa Sede: «È opportuno che le personalità politiche ascoltino le voci dei propri popoli e ricerchino soluzioni concrete per favorirne il maggior bene. Ciò esige tuttavia il rispetto del diritto e della giustizia tanto all’interno delle comunità nazionali che in seno a quella internazionale, perché soluzioni reattive, emotive e affrettate potranno sì accrescere un consenso di breve respiro, ma non contribuiranno di certo alla soluzione dei problemi più radicali, anzi li aumenteranno… Alla politica è richiesto di essere lungimirante, di non limitarsi a cercare soluzioni di corto respiro. Il buon politico non deve occupare spazi, ma avviare processi; egli è chiamato a far prevalere l’unità sul conflitto, alla cui base vi è la solidarietà, intesa nel suo significato più profondo e di sfida… Il 9 novembre 1989 cadeva il Muro di Berlino… Nel contesto attuale, non si perda in Europa la consapevolezza dei benefici – primo fra tutti la pace – apportati dal cammino di amicizia e avvicinamento tra i popoli intrapreso nel secondo dopoguerra».

Certo come Italiano talvolta mi vergogno di dovermi presentare a popoli che paiono essere molto più umani di noi e ancora sensibili al valore dell’accoglienza. Come cristiano sono fiero di un uomo come papa Francesco che i “segni dei tempi” li ha colti e sta cercando di aiutarci ad intercettarli nel quotidiano sia della nostra vita personale che di quella delle nostre comunità umane e sociali, comprese quelle nazionali e continentali.

 

 

 

 

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