Un inedito Trump presidente

Il magnate americano nel discorso al Congresso ha mostrato di avere progetti di rilancio del Paese e ha usato toni moderati che contrastano con le dichiarazioni del primo mese di presidenza.

Le analisi del giorno dopo sul discorso di Donald Trump al Congresso degli Stati Uniti si sprecano. Comune è la sorpresa di trovarsi per la prima volta davanti ad un Trump presidente e non più candidato o semplicemente imprenditore. Non so se vezzo femminile, ma il primo segnale lo ha dettato la cravatta: non rossa o fucsia – toni da combattimento -, come nelle sue ordinarie uscite a vita pubblica, ma un morigerato blu a righe grigie e bianche.

The Donald non è diventato per niente grigio, ma forse servono anche i colori ad esprimere un cambio di tono nell’agire presidenziale, che dopo 30 giorni di costanti rotture porge una mano anche a chi non lo ha votato, ai rappresentanti del Congresso che lo hanno contestato – le rappresentanti democratiche si sono vestite di bianco per sottolineare i diritti delle donne – e ai giornalisti inviperiti e che lo tengono costantemente nel mirino. La mano non è stata porta – come protocollo vorrebbe – al portavoce del Congresso Ryan e non per diatribe interne: il sorriso con cui l’esponente repubblicano ha accompagnato il discorso la dice lunga sulla tempesta sedata, ma Donald ci tiene sempre a mostrarsi fuori dall’establishment anche con gesti inconsueti. E di questi dovremo ancora aspettarcene tanti perchè dettati più dal temperamento del magnate che dalla piena consapevolezza del suo ruolo e del peso del suo agire pubblico anche nelle esternazioni.

Quattro sono stati i punti cardine del suo discorso, tutti non nuovi e tutti già ampiamente utilizzati in campagna elettorale: la riforma delle tasse, gli investimenti, l’immigrazione e la riforma sanitaria. In ultimo ha aggiunto l’urgenza di una ritrovata unità nel Paese, dopo mesi di “lotte banali”.

Il punto del suo discorso che più ha fatto centro è quello della riforma del sistema di tassazione. Wall Street ha salutato con un impennata le sue parole, accordandogli un alto indice di fiducia, anche se di fatto non si è accennato a nessuna modalità concreta che mostri come potrà avvenire e se realmente avvantaggerà la classe media dei suoi elettori o le grandi compagnie, che lo supportano e se lo augurano. Cosa voglia dire la deregulation in un mercato già con poche regole è anch’essa una scommessa, soprattutto in termini di tutela dei lavoratori, della salute pubblica e dell’ambiente.

Dibattito sulle armi negli Stati Uniti
Dibattito sulle armi negli Stati Uniti

Altro punto forte sono gli investimenti: 3 trilioni di dollari, alias tremila miliardi, cioè tre piani Marshall del dopoguerra, non sono una cifra da poco per rifare strade, ferrovie, opere pubbliche. E non sono roba da poco neppure i 54 miliardi di dollari investiti negli armamenti. Una cifra pari al Pil complessivo di 13 nazioni africane. Se le aziende produttrici di armi gongolano per l’incremento della spesa militare, non lo stesso potrà dirsi di chi da quelle armi verrà minacciato o ucciso. La protezione è già ampiamente garantita da esercito e forze di polizia, largamente dispiegati nel Paese, ma qui entriamo nel vivo di uno dei dibattito più divisivi del Paese, legato alla Costituzione, che permette l’uso di armi in difesa dei propri beni. E non gongolano neppure gli alleati Nato, la Russia, l’Iran e altri Paesi che in questi anni avevano valutato lo smantellamento degli arsenali.

Temi caldi permangono quelli della riforma sanitaria e delle leggi sull’immigrazione. La sanità promessa da Trump prevede bassi costi, maggiore accessibilità, ampliamento nella scelta delle cure e delle assicurazioni; mentre sui migranti dopo un improvvido ordine esecutivo contestato dalle comunità straniere, dalla stessa giustizia statunitense e dalle cause intentate dalle aziende della Silicon Valley e dagli agricoltori californiani, il presidente ha mostrato aperture verso “una riforma reale e positiva” del sistema migratorio. Permangono dubbi sulla fattibilità di alcune delle sue promesse, soprattutto per i costi su cui il governo federale non cederà facilmente, ma dalla sua, il presidente avrà sia il Senato che la Camera dei rappresentanti e non dovrebbe incontrare tutti gli ostacoli del suo predecessore.

Indubbiamente nel suo discorso Trump ha ripreso temi cari ai politici repubblicani, totalmente ignorati in questo primo mese di governo, dove non pochi sono stati i passi falsi sia nell’amministrazione interna che in politica estera, culminati con le dimissioni del consigliere alla sicurezza nazionale Michael Flynn, per i contatti avuti con l’intelligence russa a pochi giorni dalla sua nomina.

Altro capitolo aperto resta quello del conflitto di interessi: l’inaugurazione di una delle Trump Tower a Vancouver, proprio ieri è stata accompagnata da non poche polemiche, soprattutto sui ricavi che andranno a diretto beneficio del presidente, ancora a capo delle sue numerose aziende. E a questo si aggiunge la nota di demerito sulla dichiarazione dei redditi, non ancora resa pubblica come è stato costume degli altri presidenti.

Il Trump presidenziale che abbiamo visto al Congresso ha voluto anche sottolineare la necessità di tornare all’unità della nazione e di cessare “le guerre banali” che hanno avvelenato il Paese: è la sua ricetta per la grande America, da lui ancora una volta decantata a più riprese, ma gli ingredienti sono ancora troppo pochi e non perfettamente combinati per la riuscita di un buon piatto. Intant, alla tavola sono stati invitati anche gli avversari di sempre: i democratici. E qualcuno tra le loro fila ha persino sussurrato che il discorso di Trump si fosse ispirato ad Obama.
 

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