Un governo politico per l’Italia

L’accordo inedito tra M5S e Lega arriva nelle stanze di Palazzo Chigi. Si annunciano svolte decisive che chiedono vigilanza e attenzione sui contenuti.

Alle ore 16 del primo giugno del 2018 si insedia, con il giuramento dei nuovi ministri, il governo di Giuseppe Conte, espressione di un accordo tra Lega e Movimento Cinque Stelle. Svanita in poco tempo l’ipotesi di un difficile governo “balneare” di minoranza affidato al tecnico Carlo Cottarelli, chiamato a condurre il Paese alle elezioni, paventate addirittura a fine luglio.

Lo scontro istituzionale è stato ricomposto in tempo utile per aprire alla festa della Repubblica i giardini dell’antico palazzo papale del Quirinale, mentre il palco azzurro di via dei Fori imperiali attende i nuovi governanti per assistere alla sfilata di fanfare e reparti militari, oltra ad una folta rappresentanza di sindaci con la fascia tricolore.

Cambia la geografia del potere in Italia alla vigilia di nomine pesanti nei gangli decisivi dello Stato. Di fatto si è costituito un direttorio che vede, assieme al presidente del consiglio, i vicepresidenti Di Maio e Salvini con il sottosegretario alla presidenza Giancarlo Giorgetti.

Si è parlato di forze antisistema, ma la Lega ha ricoperto ruoli di governo a livello nazionale ed esprime la maggioranza nel lombardo veneto, cioè nell’area definita tra le più ricche di Europa. Anche ai suoi esordi, quando appariva un fenomeno folcloristico, con rimandi improbabili a riti druidici associati alle nostalgie vandeane della giovanissima Pivetti, il partito fondato da Bossi mostrava un ancoraggio popolare e il sostegno insospettabile di parte del mondo accademico, a cominciare dall’autorevole politologo della Cattolica, Gianfranco Miglio, studioso degli arcana imperii.

La sovranità dell’economia

La crisi insorta intorno al nome di Paolo Savona è stata risolta spostando l’ex consigliere di Cossiga e stretto collaboratore di Guido Carli ad un ministero diverso da quello dell’Economia ma significativamente legato alle “politiche comunitarie” e quindi ai rapporti controversi con l’Europa.

Nel ruolo chiave per definire la sovranità nazionale delle scelte di politica economica è stato individuato Giovanni Tria, preside della facoltà di Economia dell’Università di Roma Tor Vergata. Un nome di tutto rilievo che ha manifestato il suo favore nei confronti della flat tax e cioè del sistema fiscale proposto dalla destra in diverse latitudini. Il neo ministro siede nel consiglio scientifico della fondazione Magna Carta diretta da Gaetano Quagliariello, uno dei think tank più interessanti della cultura di centro destra. Ma tra i più decisi sostenitori della flat tax troviamo anche Nicola Rossi, economista, già consigliere di Massimo D’Alema, che insegna nella stessa facoltà di Tria e dirige l’Istituto Bruno Leoni, espressione del pensiero liberista. Esiste, quindi, un forte orientamento di pezzi della classe dirigente italiana verso una riconfigurazione del sistema fiscale che, secondo molti critici non meno fondati, avvantaggerebbe le fasce sociali più ricche e sarebbe comunque insostenibile a livello di bilancio. Il nuovo governo dovrà sciogliere questi nodi riconfigurando anche il cosiddetto reddito di cittadinanza, che è in effetti un reddito di inclusione più sostanzioso, e la riforma della Legge Fornero. La mancanza di copertura che emerge dal contratto di governo Lega M5S, secondo lo schema elementare esposto dall’Osservatorio sui conti pubblici italiani diretto dal premier mancato Cottarelli, comporta il cambiamento con i vincoli europei esistenti. Ed è su questo punto che si discute per capire quali margini effettivi restano ad un Paese per ridiscutere le regole dei trattati economici senza creare allarme per piani, difficilmente nascondibili, di uscita dall’euro.

Su questo punto si registra una convergenza con parte del pensiero della sinistra che si trova a disagio ad essere intruppata nel cosiddetto “fronte repubblicano” ipotizzato da parte di Calenda e altri del Pd in vista di nuove elezioni che sembravano imminenti. Molti degli elettori di centrosinistra che hanno disobbedito alla regola dei collegi sicuri disegnata dalla legge elettorale Rosato per votare il M5S come elemento di rottura, si attendono un maggior peso da quello che è il partito più votato e quindi teoricamente con maggior incidenza nel governo.

Oltre destra e sinistra ?

Saprà il nuovo ministro del Lavoro e allo Sviluppo economico, Luigi Di Maio, portare avanti un cambiamento radicale di riforma del Job act? Secondo il professor Tridico, indicato dal M5S per ricoprire originariamente quel ruolo, il programma originario è fortemente mutato dopo l’accordo con la Lega. Quasi a confermare che quando si dichiara di essere oltre le vecchie categorie di destra e sinistra, si finisce per adottare la linea più strutturata e riconoscibile e cioè quella della destra “scamiciata” e popolare impersonata da Matteo Salvini con il suo discorso della “ruspa” pronta per far piazza pulita dei rom e rispedire indietro gli immigrati irregolari, oltre ad allargare le maglie della difesa personale con l’uso delle armi esibite nelle affollate fiere dedicate ai cacciatori. L’anziano Berlusconi si è reso conto in ritardo dell’effetto di molte delle trasmissioni popolari delle sue tv, rimuovendo quei conduttori, sbeffeggiati da Crozza, ma che hanno contribuito a far crescere la Lega dal 3 al 18 % con proiezioni che la stimano, oggi, al 25% dei consensi elettorali. E Salvini ha saputo alternare l’esibizione del rosario come del Vangelo, assieme alla Costituzione e all’annuncio di un ministero per i Disabili, per attirare l’interesse di molti che non si ritrovano nella sintesi politicamente corretta espressa dalle corazzate editoriali come il gruppo Gedi (Repubblica, La Stampa, ecc.). Le fortune politiche possono cambiare come è accaduto con Gianfranco Fini, erede di Almirante, giunto al potere all’inizio del nuovo millennio per poi inabissarsi tra scandali personali, ma capace di determinare la legge Bossi Fini sulle migrazioni individuata come un errore da molte associazioni per i diritti umani. Senza dimenticare la ferita della repressione al G8 di Genova nel 2001, definita non solo da Amnesty «la  più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale».

Questi precedenti sono importanti per capire la consistenza reale della società responsabile che non si ritrova nella narrazione prevalente espressa da Salvini e il probabile dissenso che si annuncia con il presidente della Repubblica che può decidere di non firmare certe leggi. Sarà opportuno stare in guardia e prevenire ogni tentativo di dipingere Mattarella come un attentatore al volere popolare espresso dal governo.

Una novità tutta da esplorare

Dalla nomina dei diversi ministri e dal programma annunciato possono emergere,invece, elementi di novità interessanti. Come nel caso del generale dei carabinieri forestali Sergio Costa, nuovo ministro dell’Ambiente che rappresenta una garanzia per un radicale cambio di passo, a cominciare dal dramma della Terra dei Fuochi che coinvolge una resistenza civile davanti alla latitanza politica, agli interessi economici e al dominio delle mafie.  Così dicasi per il nodo Ilva di Taranto che mette assieme la realizzabilità di una politica industriale alterativa associata ad una bonifica ambientale non più rimandabile.

Il pentastellato Danilo Toninelli ai Trasporti e infrastrutture mostra un forte interesse alla questione combattuta della Tav e all’incidenza su uno degli assetti strategici di lungo periodo se si considera il dossier dei porti e delle ferrovie nel quadro delle nuove vie della seta.

Il timone degli Esteri è affidato  a mani esperte come quelle di Enzo Moavero Milanesi, già ministro per gli Affari europei nei governi Letta e Monti, che dovrebbero rassicurare per la collocazione internazionale dell’Italia ribadita nelle prime dichiarazioni del presidente del consiglio Conte, ma è chiamato ad interpretare un ruolo più attivo del nostro Paese in Europa.

Da scoprire il ruolo che sarà chiamata a svolgere Elena Trenta, nuovo ministro della Difesa in quota M5S,  che proviene dall’università privata Link Campus, diretta dallo storico ex ministro democristiano Vincenzo Scotti, che si è rivelata una sorta di laboratorio pentastellato in tema di intelligence  e sicurezza. Le indicazioni contenute in materia nel contratto di programma sono tutte da comprendere e sarà interessante capire, ad esempio, se la determinazione dimostrata da alcuni parlamentari M5S nel denunciare l’invio di bombe prodotte in Italia verso l’Arabia Saudita riceverà uno stop immediato o si seguirà la prassi seguita da Pinotti e Alfano, rispettivamente ex ministro della Difesa e degli Esteri.

Sulla vertenza simbolica dell’azzardo, nota ai lettori di Città Nuova, ci sono tutti i numeri per abolire la pubblicità da ogni media come prima mossa per colpire le lobby per poi procedere con la ridiscussione delle concessioni pubbliche. La questione appare come una cartina di tornasole, quegli strumenti di laboratorio cioè che servono a capire se un vero processo di cambiamento è davvero cominciato.

Su ogni tema si tratterà di entrare nel dettaglio senza perdere l’architettura complessiva dell’azione di governo.  In sede di riforme istituzionali, ad esempio, si annuncia importante per la democrazia diretta, la riforma sui referendum, dal superamento della necessità del quorum all’introduzione di quelli propositivi.

Si annuncia indubbiamente qualcosa di nuovo. Bisogna saper scrutare i segni dei tempi, restando attenti ai contenuti reali delle scelte che si andranno a compiere senza cedere alla tentazione della delega.

 

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