Un figlio a tutti i costi

Una pellicola specchio della società che tratta in maniera lieve un problema dei nostri tempi

Il cinema comico può toccare temi delicati, può registrare un momento culturale, può farsi specchio del presente. Perché no. Ogni stagione ha i suoi esempi e i suoi grandi mattatori: Totò lo ha fatto, Franco e Ciccio lo hanno fatto, oggi ci riescono Checco Zalone e Ficarra e Picone, per esempio. L’evasione può non essere soltanto tale; già quando un film trae spunto dalla realtà per farsi gradevole e divertente intrattenimento, già toccare un argomento, trattarlo, implica una dose (almeno minima) di impegno. La qualità dello sviluppo narrativo, poi, farà il resto: la relazione che nasce tra tema e svolgimento farà la differenza. Un figlio a tutti i costi, coi suoi evidenti limiti di budget e senza avere in squadra nessun mostro di quelli appena citati, sceglie di affrontare l’argomento (caldo e complesso) delle coppie in là con gli anni che non riescono ad avere figli. Oggi, in una società sempre più abbondante di strumenti in grado di facilitare questo desiderio umano, ma anche sempre più portata a considerare i figli come soddisfazione di un bisogno esistenziale degli adulti, che magari hanno dilatato esageratamente altre fasi della vita, liberamente o forzatamente, e sono arrivate quasi fuori tempo massimo a maturare la naturale esigenza di procreare. Naturalmente ci sono anche coppie che provano da giovani a sperimentare la bellezza e la grandezza di diventare genitori, ma non riescono a farlo e soffrono comprensibilmente. Questo per dire, appunto, di come il tema sia serio, e se un film comico, come in gran parte lo è Un figlio a tutti i costi (per il restante spazio è una commedia sentimentale) decide di entrarci, deve farlo con buon senso e intelligenza. E nella sua semplicità non si può negare che il piccolo esordio di Fabio Gravina (anche attore protagonista del film) proceda in assoluta buona fede e con una leggerezza spesso gustosa, con un’ironia totalmente priva di volgari scivolate.

La storia è quella dei coniugi ultraquarantenni  Orazio e Anna, desiderosa di avere un figlio al punto da obbligare il marito a lasciare il posto di lavoro per correre a casa, ogni volta che per lei sono i “giorni speciali”. L’uomo vive con enorme stress quello che diventa quasi un dovere: «La cosa più bella e più naturale di questo mondo diventa la cosa più complicata», confessa all’amico sacerdote, e per di più, gli fa notare Anna, Orazio ha «i semini lenti ed ha fallito il test di vitalità». Uno stress, insomma, un desiderio trasformato in ossessione, in un bisogno che allontana il concepimento di un figlio da concetti come dono e grazia, come sereno affidamento. La situazione precipita quando la donna decide di assumere un fecondatore professionista, un certo Nettuno Tritone, un belloccio che si rivelerà bizzarro e nient’altro che un trucco, per fortuna, uno stratagemma sorprendente e intelligente messo su da Anna per il bene della coppia, per una nuova pace comune e per l’arrivo di una bella sorpresa. Non  manca qualche dialogo efficace, qualche buon concetto sui cui riflettere, qua e là, in un questo film a sua volta tratto da una precedente opera teatrale. È presente il presente, come dire, in questo Un figlio a tutti i costi, il cui scopo principale, senza eccessive ambizioni è quello di far sorridere, e a tratti ci riesce bene, grazie anche ad una sotto trama dominata da un improbabilissimo commissario di polizia, un (il) grande Ivano Marescotti, e da altri minuti personaggi di contorno interpretati da un solido caratterista del cinema popolare italiano come Maurizio Mattioli e da un comico navigato come Stefano Masciarelli. E si sa quanto nel cinema leggero, nelle commedie di ogni stagione, sia importante costruire un girotondo gustoso intorno ai personaggi principali. Ah, le musiche sono di Gigi D’Alessio.

 

 

 

 

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