Un estremo bisogno di amore

È il filo rosso che va emergendo nella rassegna al Lido. Da Blonde su Marylin Monroe ai film di Virzì e Amelio, ai lavori senegalesi e francesi
Brad Pitt, a sinistra, e il regista Andrew Dominik alla premiere del film "Blonde" durante la 79a edizione del Festival del Cinema di Venezia, giovedì 8 settembre 2022. Foto: Joel C Ryan/Invision/AP

Se il cinema è o vuole essere il ritratto della nostra multiforme – e spesso confusa -civiltà mondiale, a Venezia lo si può in qualche misura sperimentare. Non solo per il documentario sull’Ucraina di Evgeny Afineevsky con la netta condanna di Putin o le mai dimenticate dittature sudamericane (Argentina 1985 di Ricardo Darín e Peter Lanzani), ma anche per un ritratto di una icona del sesso come Marylin Monroe che nel film Blonde di Andrew  Dominick racconta le sventure di Norma diventata la diva mondiale, usata da celebrità come i Kennedy e in bilico tra le performance disinibite, le glorie dello schermo e i traumi personali: storia di una ricerca di amore vero forse mai raggiunta.

Su questa lunghezza d’onda, ossia del tema dell’amore cercato nelle più diverse situazioni, si situano due film italiani da non perdere. Il primo è Il signore delle formiche (già in sala) di Gianni Amelio. Il regista ripercorre le vicende giudiziarie e umane dell’intellettuale comunista Aldo Braibanti imprigionato per plagio – leggi omosessualità –nel 1968 in base al Codice Rocco (eliminato grazie ai radicali, per cui compare a dire il vero inopportunamente Emma Bonino). L’Italia del boom degli anni Sessanta era ancora prigioniera di mentalità fasciste, di drammi familiari, dell’ipocrisia dello stesso partito comunista (nel film non ne esce troppo bene) che si interessava di lotte sociali ed economiche ma non di diritti civili e che quindi fu contro il Braibanti, il quale – non aveva un buon carattere- vive una storia d’amore, ricambiata, con un giovane della Bassa padana: un dramma, che porta lui alla prigione e il ragazzo in una clinica psichiatrica che gli rovina la salute mentale. Cose che oggi ci sembrano impossibili.

Da sinistra, Luigi Lo Cascio, Leonardo Maltese, il regista Gianni Amelio, Anna Caterina Antonacci, Sara Serraiocco, Elio Giordano e il direttore del festival Antonio Barbera alla premiere del film “Il Signore Delle Formiche”, durante la 79a edizione della Mostra del Cinema di Venezia, Italia, martedì 6 settembre 2022. Foto: Ap/Domenico Stinellis

Amelio in un film che è pure autobiografico evoca scene molto forti come il processo chiaramente ingiusto e soprattutto la fine del ragazzo, abbandonato e respinto dai suoi, al contrario della madre del Braibanti, una delle migliori figure dolenti e dignitose di un film quasi sempre misurato ed accompagnato all’inizio e alla fine dalla musica di Verdi (Nabucco e Aida). Gli interpreti sono eccellenti, per primo Luigi Lo Cascio nei panni del professore, poi l’esordiente Leonardo Maltese, un ragazzo dolce e devastato; Elio Germano, giornalista tutt’altro che ipocrita dell’Unità. Memorabile per la crudeltà e lo strazio la scena del processo. Stupenda la fotografia in un film che lancia un messaggio forte e attuale, quello del rispetto per l’amore nella sua ricerca e per la fragilità degli esseri umani. Anche oggi la falsità mediatica e sociale non è finita.

Siccità di Paolo Virzì (in sala dal 22) ci presenta una Roma che è tutt’altro che La Grande Bellezza. Il Tevere è in secca da tre anni, la gente frastornata. Il film è corale, ampio e non bozzettistico: gli attori-personaggi sono quanto mai variegati a dire un mondo sconvolto e individualista in cui l’amore è cercato come un rifugio di situazioni diversificate. Spiccano l’autista drogato di Valerio Mastandrea, la seduttrice Monica Bellucci, un grande Silvio Orlando, patetico e umano carcerato che si trova casualmente fuori prigione, ricerca e ritrova la figlia ancora delusa da lui, e poi ritorna nella sicurezza del carcere, avendo visto un mondo che non gli appartiene più. Amaro e duro in diversi momenti, implacabile anche nel presentare stupidità ed egoismi, il film però non chiude alla speranza.

Chissà poi se in sala arriverà un piccolo e bellissimo film (sezione Orizzonti), cioè Notte fantasma di Flavio Risuleo dove un perfetto Edoardo Pesce è un poliziotto disturbato che di notte arresta un ragazzotto buono e semplice che spaccia. Non lo porta in carcere ma in giro per la città e parlano, parlano. Lui chiede ai giovani anche cosa pensino di Dio e le risposte giocano sulla indifferenza, siano italiani o stranieri. Film tenero in una Roma notturna di scarse luci vede il poliziotto salutare di nascosto la figlia piccola e poi sparire nel Tevere. Umano e commovente, scarno e poetico, riflessivo, è un gioiello.

Chiudiamo nell’attesa dei premi di domani con altre storie familiari: The son, Il Figlio del francese Florin Zeller dove l’ex Volverine Hugh Jackmann è il padre straziato di un adolescente chiuso, problematico che nemmeno la sua tenerezza riesce a illuminare eSain Omer, opera prima di Alice Diop. È la ricostruzione del processo francese nel 2016 riguardante una giovane madre senegalese che ha ucciso la bambina di pochi mesi abbandonandola in riva al mare. È il tema di una maternità che può ricordare quella della classica Medea, un racconto dove in apparenza sfuggono i motivi dell’omicidio.

Storie quindi varie sull’amore. Pongono una domanda su come e dove cercarlo per non vivere di quella infelicità e incertezza che domina in numerosi film.

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