Per un alpinismo responsabile

Il dibattito sui rocciatori che si avventurano in montagna con leggerezza, senza rispetto per i rischi, le norme elementari di sicurezza… e gli stessi soccorritori

Ha fatto scalpore in questi giorni il caso di due alpinisti spagnoli che, sulle Tre Cime di Lavaredo, hanno rifiutato per ben due volte l’aiuto dell’elisoccorso dopo che si erano trovati in difficoltà in parete perdendo la via; salvo doversi poi “arrendere” al terzo tentativo, non riuscendo a salire né a scendere. Puntuale è partito il dibattito sulla spregiudicatezza di molti rocciatori, sul loro essere sprovveduti, salvo poi pretendere di essere soccorsi togliendo a uomini e mezzi a chi si trova in reale difficoltà pur avendo preso tutte le precauzioni; e su come sia opportuno far pagare a queste persone conti salati – cosa che in effetti è avvenuta. Alcuni hanno infatti addirittura asserito che il loro rifiuto fosse motivato non dal “credere di essere ormai quasi in cima” e di volercela fare, come i due hanno poi riferito, ma dal timore di dover pagare i 7.500 euro che sono poi loro stati fatturati.

In realtà si impongono alcune riflessioni per evitare il classico “tiro al piccione” contro l’alpinista; che derubrica a semplice passatempo pericoloso l’andare per monti, senza tenere conto delle motivazioni intrinseche e nobili che spingono molti. Un tema su cui si sono espressi anche molti alpinisti famosi, su tutti Reinhold Messner – che ha definito l’alpinismo “un’arte”, in cui “affrontare le difficoltà con eleganza” e “gestire gli azzardi”.

La prima è che chi si trova in difficoltà in montagna non è necessariamente un irresponsabile. Specie l’alta quota è estremamente imprevedibile, e anche il più sicuro degli itinerari può rivelare pericoli inattesi, fosse anche solo un temporale improvviso. Occorre esserne coscienti, sia quando ci si avventura per monti, sia quando si giudica chi lo fa.

La seconda è che, come il Soccorso alpino in effetti testimonia, molte chiamate arrivano da persone che non hanno rispettato le più elementari norme di sicurezza. Chi parte con equipaggiamento inadeguato, chi troppo tardi trovandosi perso nel buio, chi lo fa anche quando le previsioni meteo lo sconsigliano; chi chiama molto semplicemente perché è esausto e non ce la fa a tornare a valle. Appunto per questo le singole Regioni hanno implementato un tariffario volto a scoraggiare chi chiama i soccorsi senza essere ferito, o chi lo fa in seguito ad evidente comportamento irresponsabile: nel caso specifico del Veneto, l’elisoccorso viaggia a 90 euro al minuto (ma la normativa varia appunto da Regione a Regione).

Vale quindi la pena ricordare che prima di un’escursione è sempre bene informarsi sul percorso per valutare se è alla propria portata – rinunciarvi non è una vergogna, ma un atto di responsabilità per non mettere in pericolo sé stessi e gli altri –, sulle previsioni meteo, sull’equipaggiamento necessario, su eventuali vie di ripiego in caso di difficoltà a proseguire. Ricordandosi che la montagna è sì una sfida, almeno per alcuni, ma che questa deve al tempo stesso essere un atto di alto rispetto sia per la montagna che per sé stessi.

Da ultimo, un pensiero ai soccorritori, che mettono in pericolo la propria vita per andare in aiuto degli altri da volontari. Mi è capitato una volta di parlare con uno di loro, che ha visto morire alcuni suoi compagni per una valanga sotto cui lui stesso è rimasto sepolto (uscendone fortunatamente vivo); mentre andavano in cerca di una coppia di rocciatori dispersa che si era avventurata nonostante il pericolo di grado elevato. Quando gli ho chiesto che cosa lo spingesse ad andare in soccorso, anche di persone che si erano coscientemente messe in pericolo, mi ha risposto: «Siamo gente di montagna. Se c’è qualcuno lì fuori, andiamo ad aiutarlo. Senza se e senza ma. Del resto, eventualmente, si parla dopo».

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