Ultime notizie dai fronti mediorientali (e non solo)

Che succede nella regione più martoriata al mondo? Quali prospettive e quali vicoli ciechi? Una lettura che vuole superare la contingenza locale

Saad Hariri dovrebbe finalmente andare a Parigi prima di tornare a Beirut, la mediazione di Emmanuel Macron sembra funzionare: il premier libanese passa per un Paese terzo prima di riguadagnare i suoi uffici nella capitale del Paese dei cedri, salvando così la faccia dei sauditi che si sono infilati in un’impasse.

Il capo di Stato maggiore dell’esercito israeliano, quindi una voce autorevolissima, Gadi Eisenkot, ha dato un’intervista al sito Elaph, che trasmette dalla Gran Bretagna, ma che è proprietà di un ricco saudita. Eisenkot condanna con forza l’espansionismo dell’Iran in terra araba, «la minaccia reale più grande nella regione», ma dice chiaro e tondo che il suo Paese non farà guerre su ordine straniero, cioè in soldoni non attaccherà ora gli Hezbollah nel Sud del Libano: «Israele non ha alcuna intenzione di lanciare un’offensiva contro gli Hezbollah in Libano».

Il presidente Michel Aoun, da parte sua, addolcisce i toni contro l’Arabia Saudita, intravvedendo «la fine della crisi», mentre Hezbollah continua a mostrare un profilo molto basso, visto che ha tutto l’interesse a monetizzare nel silenzio la vittoria siriana.

Il ministro degli Esteri francese Le Drian, da Riad, lancia una frase che sembra da nulla, ma che ha una sua cruciale importanza per la soluzione della crisi: «Manifesto la mia immensa soddisfazione per la sconfitta del Daesh», attacca. E aggiunge: «Questa vittoria ha creato nuove sfide, in particolare la ricerca di soluzioni durature e conformi alle aspirazioni delle popolazioni nella loro diversità».

 Il che equivale a dire: nel deserto tra Siria e Iraq si può cercare di infilare un cuneo sunnita che impedisca la realizzazione del collegamento terrestre tra Teheran e Beirut tanto temuto dai sauditi. Un passaggio chiamato in tanti modi in questi giorni: croissant, autostrada, corridoio, triangolo… È per questo che le ultime città nel deserto in mano al Daesh sono così duramente contese tra le coalizioni centrate sui sunniti e quelle centrate sugli sciiti. Anche il capo di Stato maggiore israeliano Eisenkot l’ha detto: «Teheran vuole prendere il controllo del Medio Oriente creando un croissant sciita dal Libano fino all’Iran e dal Golfo Persico fino al Mar Rosso. Dobbiamo impedire che ciò si realizzi».

La minaccia di una guerra s’allontana allora dalle spiagge e dalle montagne di un Libano che non vuole sangue, almeno sembrerebbe. Tenendo presente che queste piccole-grandi guerre mediorientali, reali o annunciate, sono sempre la spia di un conflitto ben più ampio, che non si limita a una semplice querelle tra sunniti e sciiti.

Come dice l’analista Georges Corm al collega Alex Anfruns, il confronto non è solo e non è tanto tra sciiti e sunniti, ma tra due blocchi geopolitici: quello della Nato e degli Usa da una parte, e quello di coloro che contestano la supremazia statunitense (Russia, Cina, Iran…) dall’altro. Siria, Yemen e Libano, secondo Corm, sarebbero vittime di questo scontro tra giganti. C’è del vero nelle parole di Corm, anche se le contese regionali giocano un ruolo fondamentale nell’attuale momento storico.

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