Trump riconosce le colonie israeliane

Mike Pompeo, segretario di Stato Usa, dichiara che gli insediamenti nei Territori palestinesi non sono incompatibili col diritto internazionale. Ma con che autorità può fare un’affermazione del genere? Se lo chiedono in molti, tra cui mons. Giacinto Boulos Marcuzzo, vicario patriarcale per Gerusalemme e la Palestina

Gli insediamenti israeliani in Cisgiordania sono “legali”: è la sostanza delle dichiarazioni di Mike Pompeo. Il segretario di Stato Usa ha dichiarato lo scorso 18 novembre che «gli insediamenti di civili israeliani nella West Bank (Cisgiordania) non sono, di per sé, incompatibili con il diritto internazionale». Ed ha quindi spiegato: «La dura verità è che non vi sarà mai una soluzione legale del conflitto e le argomentazioni su chi ha ragione e chi ha torto dal punto di vista delle leggi internazionali non porteranno mai la pace». Ma è la deduzione conclusiva ad essere sconcertante: la legalità degli insediamenti è di esclusiva competenza dei tribunali israeliani. Che in parole povere suona più o meno così: i palestinesi, che in quelle terre vivono da decine di secoli, in nome della pace devono rinunciare ad avere una patria, e il diritto internazionale che li tutela non serve a nulla. Benjamin Netanyahu ha subito espresso il suo ringraziamento al segretario di Stato statunitense sostenendo che la sua affermazione «riflette una verità storica. Il popolo ebraico non è un colonialista straniero in Giudea e Samaria (Cisgiordania), noi ci chiamiamo ebrei (giudei) perché siamo il popolo della Giudea». Un’affermazione ideologica che usa una lettura politica della Bibbia per giustificare un diritto assoluto di proprietà sui Territori palestinesi della West Bank.

Ma di cosa stiamo parlando a livello di numeri? Sono oggi più di 200 gli insediamenti israeliani in Cisgiordania: 131 sono ufficialmente riconosciuti dal ministero degli Interni israeliano e più di 100 sono quelli senza autorizzazione ufficiale, ma costruiti con il supporto governativo. Gli insediamenti sono inoltre talmente incuneati nel territorio da spezzettarlo. Vi risiedono attualmente oltre 620 mila coloni israeliani.

Non è la prima volta che il governo di Donald Trump fa un regalo a Netanyahu, più che allo Stato di Israele, senza tenere in nessuna considerazione la popolazione arabo-palestinese. Dopo la dichiarazione di Gerusalemme capitale dello Stato ebraico (come se gli arabi, e gli arabi-musulmani in particolare, non avessero nulla a che fare con la Città santa), e il regalo delle alture del Golan siriano, fatto senza minimamente consultare i siriani, ora questa dichiarazione che vanifica il diritto internazionale e la stessa prassi diplomatica statunitense per dichiarare le terre palestinesi legalmente espropriabili.

Che il diritto internazionale, che pur ha di questi tempi non pochi problemi, sia così discutibile come lo descrive Pompeo è molto difficile da sostenere: sulla illegalità degli insediamenti israeliani si sono pronunciati senza alcuna ambiguità, giusto per fare qualche esempio, la quarta Convenzione di Ginevra (1949) firmata anche dagli Usa, la Corte internazionale di giustizia dell’Aja, l’Assemblea e il Consiglio di sicurezza dell’Onu. Per non parlare della risoluzione, nota come Memorandum Hansell, secondo la quale gli Usa giudicavano l’occupazione dei Territori della Cisgiordania «incompatibile con il diritto internazionale». Il Memorandum venne adottato dal presidente Carter nel 1978 e riconosciuto da tutti i suoi successori fino ad Obama, compreso il repubblicano Reagan, che riuscì soltanto a precisare che considerava gli insediamenti «illegittimi» e non «illegali».

Le prese di posizione contro le affermazioni di Mike Pompeo (e del governo che rappresenta) sono numerose, sia da parte dell’Autorità palestinese che di molti Paesi, compresa l’Ue, la Russia e la Turchia. Perfino mons. Giacinto Boulos Marcuzzo, vicario patriarcale per Gerusalemme e la Palestina non usa mezzi termini: «Si tratta di una dichiarazione disastrosa che va in direzione opposta alla pace, ai diritti dei popoli e delle persone. Come è possibile annettersi terre che appartengono ai palestinesi senza il loro consenso? Chi sono gli Usa per deciderlo?».

In realtà, il significato di questa presa di posizione statunitense potrebbe avere ben altre motivazioni, molto più prosaiche, a detta di autorevoli analisti. Uno per tutti, Gianluca Pastori, docente di Scienze politiche all’Università cattolica di Milano, che scrive tra l’altro su ispionline.it a questo proposito: «Questo endorsement risponde bene alle esigenze interne all’amministrazione Usa, che deve distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dalle audizioni in corso per l’impeachment e raccogliere consensi tra l’elettorato conservatore», soprattutto tra i gruppi evangelici e sionisti. Ovviamente tutto ciò mette al contempo una pietra tombale sulla “soluzione a due Stati”, a lungo sperata da entrambe le parti, e su qualsiasi fiducia i palestinesi abbiano mai avuto nei confronti dello sbandierato “Piano del secolo” (promosso dal genero di Trump, Jared Kushner) per la risoluzione del conflitto israelo-palestinese.

 

 

 

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