Trattativa Stato- Mafia e il ruolo di Napolitano /2

La distruzione delle intercettazioni tra l'ex ministro Mancino e il presidente della Repubblica non aiuta a far chiarezza sulle minacce ricevute da esponenti delle istituzioni da parte della mafia. Pubblichiamo la seconda parte del commento del nostro penalista
Manifestazione per ricordare Borsellino a Catania

Il 27 maggio 2013 innanzi alla Corte d’Assise di Palermo  si è tenuta la prima udienza

Ma come si innesta in detto processo la testimonianza del Presidente della Repubblica?.

In seguito alle dichiarazioni di Ciancimino, le Procure di Palermo e Caltanissetta ascoltarono Claudio Martelli, Liliana Ferraro, Fernanda Contri e Luciano Violante come persone informate sui fatti e questi dichiararono di essere stati avvicinati dall'allora colonnello Mori in relazione ai contatti con Vito Ciancimino e che il giudice Paolo Borsellino era a conoscenza di questi contatti; venne ascoltato anche Nicola Mancino, il quale però dichiarò di non averne mai saputo nulla e negò, come aveva già fatto in passato, di aver incontrato al Viminale il giudice Borsellino il 1º luglio 1992, nonostante la testimonianza dell'ex ministro Martelli e le agende del magistrato affermassero il contrario. Per queste ragioni, nel giugno 2012 Mancino venne iscritto nel registro degli indagati per falsa testimonianza; anche l'ex ministro Calogero Mannino ricevette un avviso di garanzia in cui si parla genericamente di "pressioni" che Mannino avrebbe esercitato su "appartenenti alle istituzioni" sulla "tematica del 41 bis".

Durante le indagini, la Procura di Palermo sottopose Mancino ad intercettazioni telefoniche e registrò casualmente alcune telefonate che l'ex ministro fece al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e al dottor Loris D'Ambrosio (consigliere giuridico del Quirinale). Per queste ragioni, il Quirinale, il 16 luglio 2012, in una nota in merito alla presunta trattativa Stato-mafia ed alle telefonate di Nicola Mancino al presidente della repubblica Napolitano, per chiedere un appoggio contro i giudici siciliani, Antonio Ingroia, Nino Di Matteo e altri, che stavano valutando la sua posizione processuale, scrive: « Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha oggi affidato all'avvocato generale dello Stato l'incarico di rappresentare la presidenza della Repubblica nel giudizio per conflitto di attribuzione da sollevare dinanzi alla corte costituzionale nei confronti della Procura della Repubblica di Palermo per le decisioni che questa ha assunto su intercettazioni di conversazioni telefoniche del Capo dello Stato»,   tradotto in parole povere:«La Procura di Palermo non poteva intercettarmi e, pertanto, le intercettazioni, vanno distrutte».

Nell’ottobre 2012 Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso, chiese al Presidente Napolitano che venissero pubblicate le sue intercettazioni con Mancino, in nome della trasparenza istituzionale e come segno di determinazione nel ricercare la verità. Tuttavia nel gennaio 2013 la Corte costituzionale accolse il ricorso del Quirinale contro la Procura di Palermo per conflitto di attribuzione e dispose la distruzione delle intercettazioni tra Napolitano e Mancino. In seguito a queste disposizioni, gli avvocati di Massimo Ciancimino presentarono ricorso contro la distruzione delle intercettazioni presso la Corte di Cassazione, che però ritenne inammissibile il ricorso: nell'aprile 2013 il giudice per le indagini preliminari di Palermo distrusse le intercettazioni.

La settimana scorsa, Giorgio Napolitano, presidente della Repubblica Italiana ha risposto alle domande dei pubblici ministeri e degli avvocati sulla "trattativa Stato-mafia".

Dalla pubblicazione della trascrizione del verbale  è emerso, però, che non sarebbe mai stata usata la parola «trattativa», né da Napolitano, né da altri. Ma il pm Antonino Di Matteo, come risulta  dalle dichiarazioni rilasciate alla tv internazionale Euronews, dimostra di avere le idee ben chiare sui fatti accaduti negli anni 1992-1993: «La mafia a un certo punto, ha cominciato a capire che gli attentati eccellenti, le bombe pagavano». Le bombe e le minacce, «erano utili perché lo Stato, andando a cercare la controparte, dimostrava di cominciare a piegare le ginocchia».
Il presidente, inoltre, alle domande sulla lettera che l'ex consigliere giuridico Loris D’Ambrosio, ebbe ad inviargli un mese prima della morte, ha confermato di non conoscere i motivi del turbamento dello stesso, né tantomeno il contenuto degli «indicibili accordi»  cui si fa riferimento in detta lettera.

Il giudizio di attendibilità o meno delle dichiarazioni di Napolitano è lasciato ora alla Corte d’Assise di Palermo che ha il delicato compito di riscrivere la storia d’Italia di questi ultimi venti anni. Di certo la richiesta di distruzione delle intercettazione tra Mancino e Napolitano, ad opera della Presidenza della Repubblica, a mio avviso non gioverà certamente a detto giudizio.

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