Tra Gerusalemme e Gaza…

Siamo in Terra Santa, proprio nei giorni in cui si susseguono raccapriccianti le notizie da Gaza. Visitiamo la "scaletta santa" e poi, nel pomeriggio, decidiamo di andare a mangiare insieme alla gente di Betlemme: non ci sono stranieri per le strade... solo noi due. Ci fermiamo con alcuni amici e iniziamo a pregare, di nuovo, per tutte le parti
Gaza
Le ultime notizie che arrivano da Gaza sono drammatiche: ormai la centrale elettrica (gia’ malfunionante) e’ saltata in aria da un missile e l’acqua scarseggia. Le bombe continuano a cadere come anche i morti a restare sotto le macerie: ovunque. C’e’ un odore insopportabile nell’aria. La gente e’ disperata. Non e’ possibile fuggire fuori dalla striscia e nessun posto e’ sicuro li’ dentro: solo pregare di riuscire a stare vivo e che non ti cada proprio sulla casa il missile.

 

Mentre alcune persone erano al mercato durante la tregua i missili hanno ripreso a cadere: come sulle ambulanze: una carneficina.  Le ultime notizie che qualcuno e’ riuscito a mandarci sono state: “Ringraziamo Dio d’essere riusciti a salvare la vita, perche’ eravamo sulle scale quando e’ arrivato il missile”. E poi: “Pregate per noi, non poco, ma tanto”.

 

Tanti degli amici ancora la’ cercano anche d’aiutarsi in modo eroico: alcune famiglie e conoscenti hanno detto che l’amore vero tra loro, quello che ti unisce al di la di tutto, e’ cosi’ forte che desiderano restare insieme, anche nel caso dovessero morire.  Ne rimango sbalordito: “Ma com’e’ possibile continuare a vivere, io qui, comodo, mentre quei poveretti innocenti sono di la’ ?” Ad un certo punto mi metto a sedere sul primo scalino che trovo nella citta’ vecchia, forse una delle strada dove Gesu’ e’ passato. Inizio a pregare e non mi muovo per un bel po’. La gente passa; provengono da tutto il mondo e tanti hanno la faccia triste. Metto la mia testa fra le mani e prego: “Sciogli, o Dio, queste montange d’odio. Si’ Dio: sciogli, ti prego, l’odio, la sfiducia, la paura tra noi e che ritorni la pace in questa terra benedetta”.

 

Anche un amico che vive qui ieri sera mi confermava la stessa cosa:  possiamo pregare e lavorare per la pace: provare a disinnescare le bombe che ognuno di noi dissemina durante la sua giornata. Piccole bombe fatte d’indifferenza, di piccoli rancori, di giudizi. Sono la base dove nascera’ poi  la guerra vera: e tutti noi ne siamo artefici.

 

Nel pomeriggio visito la cosi’ detta ‘scaletta santa’, quella che la nostra tradizione dice sia stato il posto dove Gesu’ vi passo’ e pronuncio: “Che tutti siano uno”. Questa preghiera, guardando quegli scalini, mi risuona come un allarme nella testa. Tutti uno? Noi uomini, qui? Un uomo non l’avrebbe mai chiesta una cosa del genere, perche’ irrealizzabile con le solo forze umane. Un giorno, mi dicono, su questo pezzo di terra, sorgera’ una strattura che parlera’ d’unita’, che aiutera’ gli uomini a conoscersi e capirsi tra di loro. Che Dio ci aiuti.

 

Qui ogni pietra parla e dice odio, discordia, divisione, sangue: ma per chi crede parla di una Speranza che non muore, che viene portata avanti da tanta gente.  A Gerusalemme se vuoi meditare un po’, non hai bisogno di portarti libri: ti basta andare per le strade e vedere ed ascoltare  chi parla  al tuo cuore.

 

Dopo 48 ore di Terra Santa mi si rafforza la convinzione che solo l’amore sana e sanera’ queste ferite: le mie ferite e quelle dell’umanita’. Entrando in un negozio nella parte palestinese oggi, alzo gli occhi alla televisione e vedo scene che incitano all’odio verso l’altra parte. Odio di qui, odio di la’ e bambini morti. Basta, mi dico.

 

Il giorno seguente decidiamo con un amico d’andare a mangiare in mezzo alla gente a Betlemme. Non parliamo arabo: ma col sorriso e con gli occhi possiamo comunicare. Compriamo frutta; poi datteri e facciamo amicizia col fruttivendolo. Poi il pranzo: cerchiamo d’essere gentili con tutti e di sorridere anche alla gente ai tavoli accanto. Qualcuno risponde, come la gente per strada: il gommista, un taxista, due persone che parlavano ad un incrocio.

 

A Betlemme non ci sono stranieri per le strade: siamo solo noi due, mi sembra. Ci mettiamo sotto un albero e ci mangiamo datteri: le auto passano e qualcuno dai finiestri ci saluta o urla qualcosa, che naturalmente, non capiamo. Non abbiamo paura e non abbiamo niente da nascondere. Vorrei dire che siamo qui per tentare di dire di no a questo, cosidetto, “ecosistema d’odio reciproco”, come l’amico che vive in questa terra da tanti anni l’ha definito. Si’. Direi che dobbiamo, tutti noi, anche voi che leggete, tentare d’opporci, nei nostri ambienti, all’odio che ci avvelena: il rancore, l’invidia, la sfiducia. Possiamo tentare di rispondere con l’amore  a tutto il negativo che incontriamo nella nostra vita. Questa e’ la pace.

 

Stasera la luna non e’ molto alta nel Cielo a Gerusalemme. Mi domando: chissa’, povera luna, cosa vedra’ laggiu’ nella strisica di Gaza: cose che noi non potremmo sapere e forse nessuno nemmeno raccontare. Ci fermiamo con due amici e iniziamo a pregare di nuovo, per tutte le parti. Mi dice l’amico che vive qui: “Preghiamo per entrambi, per chi e’ colpito e per chi colpisce”. Sinceramente rimango attonito, e poi mi ricordo: “Amate i vostri nemici”.  Questa e’ la pace: pregare per tutti, anche per chi ti fa male. E queste parole sono state pronunziate, per la prima volta, in questa terra, sotto queste stelle, rivolte verso questo colline. Fa impressione. C’e’ solo da provare a viverle.

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