Tra “Charlie Hebdo” e decapitazioni

Il dibattito sul terrorismo nel mondo musulmano  si fa strada. L’Egitto è ancora una volta il motore culturale del mondo arabo. Un’intervista dello sceicco di al-Azhar
moschea

Il 14 gennaio scorso il quotidiano egiziano Al-Masry al-Yown ha pubblicato un’interessante intervista rilasciata dall’imam Ahmad al-Tayyib, shaykh della moschea di al-Azhar del Cairo. L’intervista, ampia ed articolata, è da leggersi in risposta all’intervento dell’attuale presidente egiziano, al-Sissi, che il primo gennaio si era rivolto, proprio fra le mura del prestigioso complesso religioso-giuridico e culturale cairota, alle autorità dell’istituzione con la richiesta esplicita di maturare un pensiero più illuminato all’interno dell’Islam. In Italia non è stata data alcuna rilevanza a questa mossa significativa da parte di una autorità come quella di al-Azhar. Solo la rivista Oasis ne ha pubblicato ampi stralci con interessanti commenti sulla propria edizione online.

L’invito del presidente era stato quello di “uscire” da una tipologia di pensiero religioso che viene percepito dall’Occidente come una minaccia e che rischia di porsi in antagonismo con l’opinione pubblica in generale, come aveva affermato il presidente al-Sissi, leader politico di un Egitto che, come i fatti di qualche giorno fa dimostrano, continua a sperimentare una notevole instabilità politica, nonostante governo e polizia usino spesso la forza in modo talvolta esagerato.

L’intervista che lo shaykh ha rilasciato al quotidiano della capitale egiziana è la prima da quando bel 2010 è diventato il quarantaquattresimo shaykh di al-Azhar. Nel corso della conversazione, Ahmad al-Tayyib ha toccato punti anche scottanti, come il ruolo di al-Azhar, da molti considerata ancora come un vero punto di riferimento per il mondo sunnita: l’estremismo islamista, la formazione degli imam, l’insegnamento religioso, i recenti attentati in Francia e le conseguenze che hanno portato, i rapporti con la Fratellanza musulmana e con lo Stato egiziano.

Per quanto riguarda la posizione della moschea e dell’università di al-Azhar, Ahmad al-Tayyib ha chiarito che«la missione di al-Azhar è presentare il carattere mediano e tollerante dell’Islam (…). Ci troviamo in mezzo alle onde impetuose provocate dai grandi cambiamenti e dai conflitti politici, economici, sociali e culturali e che la religione è una delle carte che i contendenti tentano di giocarsi nella lotta (…). Al-Azhar si adopera giorno e notte per contrastare queste onde (…), ma non tocca solo a essa farlo, perché questo deve avvenire anche a livello dello Stato con la cooperazione del ministero dell’Istruzione». Parlando, poi, dell’estremismo islamico, lo shaykh ha precisato che è impossibile dire che esso «verrà cancellato dalla società con facilità o in poco tempo. Ci troviamo di fronte a un fenomeno sociale con un radicamento decennale».

A fronte delle accuse che la stessa al-Azhar sia un centro di formazione al terrorismo, al-Tayyib ha tenuto a sottolineare che «tranne una sola eccezione, nessuno degli ideologi dell’estremismo e del radicalismo di tutto il mondo si è diplomato ad al-Azhar (…) ed è perciò spiacevole che al-Azhar sia continuamente accusata di essere responsabile del terrorismo». Il ruolo della moschea e del centro giuridico e spirituale ad essa connessi sono stati al centro di alcune considerazioni molto importanti. Al-Tayyib, nel corso dell’intervista, ha infatti cercato di delimitare la funzione e le prerogative della moschea di al-Azhar, che come noto è spesso considerata come un’istituzione al centro del sunnismo mondiale. «L’opinione di al-Azhar – ha affermato al Tayyib – non è vincolante, e noi non siamo una magistratura che emette sentenze né un organo esecutivo che può promulgare dei decreti. Non abbiamo un bastone con cui punire chi non si conforma alla nostra opinione. (…) Non esercitiamo alcuna tutela né siamo un potere religioso».

Il leader religioso egiziano ha anche parlato a lungo sui fatti di Francia e sulla ricaduta che essi possono avere all’interno dell’Islam stesso. «Tra i modi di difendere l’Islam e il suo Profeta non ci sono l’uccisione barbara e i massacri, il cui prezzo è pagato dai musulmani di ogni parte del mondo», ha affermato, precisando che «i musulmani sono ovunque chiamati a condannare e a rifiutare pubblicamente atti criminali come questo».

Un nodo delicato per il dibattito interno all’Islam, che lo shaykh ha tuttavia voluto affrontare è quello legato alla questione su come sia possibile che una persona che pronuncia lashahâda, cioè la professione di fede, decapiti un altro uomo e dichiari di essere musulmano. Al-Tayyib si è riferito alla distinzione tra peccatore e miscredente, tema cruciale e dibattuto nell’Islam fin dalla primissima riflessione teologica (VII secolo). I jihadisti restano musulmani e non possono essere dichiarati miscredenti, altrimenti si aprirebbe un ciclo di condanne reciproche senza fine. Si domanda infatti al-Tayyib: «In quale fattispecie rientra un musulmano che decapita un altro musulmano? Nel taglione. Deve essere ucciso così come ha ucciso, ma non è un miscredente, perché la miscredenza è un’altra cosa e colui che crede in Dio, nei suoi angeli, nei suoi libri, nel suo profeta, nel giorno del giudizio e nei decreti divini è un credente e non può essere accusato di non esserlo. E se commette un peccato grave come uccidere un uomo o bere del vino diventa un miscredente? No. (…) Se apriamo la porta dell’anatema non si salverà nessuno».

L’intervista, dunque, riporta argomenti scottanti per il mondo attuale e dimostra il grande dibattito interno che l’Islam sta vivendo nel cosmo variegato della sua presenza a diverse latitudini. In tal senso la sfida lasciata da un leader politico, per altro controverso all’interno del mondo musulmano stesso, per la modalità in cui ha preso il potere e lo gestisce in questi mesi, è stata accolta da una grande autorità religiosa sunnita che ha voluto rilasciare la sua prima intervista dal momento in cui è stato insediato cinque anni fa.

Ancora una volta dispiace che i media occidentali hanno tralasciato di mettere in evidenza un elemento significativo che dimostra, contrariamente, a quanto si dipinge ormai con luoghi comuni, quanto sia in atto un dibattito a più voci e con posizioni diversificate fra le varie correnti e rappresentanti del mondo musulmano.

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