Con Tommasi contro la violenza

Entrare in campo con la maglia della formazione avversaria e poi scambiarsela. La proposta dell’Associazione Calciatori

A partire dalla 32ª giornata del campionato di Lega Pro, terza serie del calcio professionistico italiano, tutte le squadre dovrebbero rendersi protagoniste della campagna “Non c’è partita senza avversario”, lanciata dall’Associazione Italiana Calciatori per voce del presidente Damiano Tommasi.

In ogni partita, i capitani delle due squadre entreranno sul rettangolo di gioco indossando la maglia della formazione avversaria: così allo scambio dei gagliardetti e alle strette di mano, a inizio gara, seguirà anche quello delle casacche. Subito sposata dalla Lega Pro, la campagna intende «ribadire che il nostro calcio vuole portare in campo e sugli spalti fair play e confronto», così s’è espresso Maurizio Gravina, rappresentante delle sessanta squadre iscritte al campionato di terza serie.

«Sono settimane ormai che la violenza, nel calcio e non solo, ci sta preoccupando non poco.
Cosa fare? La denuncia, le dichiarazioni di solidarietà, i 15’ di ritardo, le pene più severe o lo stop definitivo? Lanciamo una campagna: si tratta di un gesto, di tanti gesti tutti insieme, ragazzi che si sentono una squadra sola. Da questo fine settimana, fino alla fine della stagione, le partite di Lega Pro inizieranno con un simbolico atto sportivo», ha dichiarato alla vigilia dell’ultimo fine settimana Damiano Tommasi attraverso il sito dell’AIC.

«I capitani delle due squadre entreranno in campo indossando la maglia avversaria. Allo scambio dei gagliardetti seguirà lo scambio di maglia. Il messaggio è chiaro: quella che inizia è una partita di calcio, è sport e tutti i calciatori si sentono parte della stessa squadra, quella che ama il calcio. Senza avversario (così come senza arbitro, ndr) non c’è partita – ricorda Tommasi – e mettere la maglia avversaria sarà un messaggio per tutti che la violenza, in campo e non, è fuori luogo, sempre! Sarà un gesto semplice, non certo risolutivo, ma vuole essere anche un’assunzione di responsabilità da parte dei calciatori con l’obbiettivo di placare la voglia di violenza diventata insostenibile e preoccupante… Noi ci proviamo ad invertire la tendenza, prima che sia troppo tardi!».

Non sarà certo risolutivo ma gli episodi di violenza consumatisi a Matera, ad Ancona e a Messina meritano fermezza. L’ultimo increscioso fatto risale a Taranto, dove due settimane fa una trentina di “tifosi” (?!) incappucciati, dopo aver lanciato uova e un paio di bombe carta, hanno aggredito fisicamente gli atleti. Ma come dimenticare tutti i gesti di sottomissione e umiliazione a cui sono stato costretti negli ultimi anni molti calciatori da vere e proprie frange violente travestite da sostenitori: inammissibile che qualche capoclan non meglio identificato imponga parole e gesti violenti a una società intera.

Lo sport, ed in particolare il calcio, icona tra gli hobbies del nostro paese, è uno spettacolo, soggetto a responsabilità e rispetto come ogni altra disciplina umana: quale uomo può permettersi di minacciare o aggredire un altro in nome di un risultato non ottenuto? Quale frustrazione o sospensione dei diritti umani, in qualche caso, può giustificare il fatto che a comandare uno spogliatoio o un allenamento, o un fine gara, sia qualche gruppo di teppisti imbacuccati invocanti il non meglio precisato concetto di “noi siamo ultras”?

Come spesso appare in altre dimostrazioni folcloristiche, queste prese di posizione da “ducetti” viste in curva, in campo, nei centri d’allenamento da parte di gruppetti di esagitati, rappresentano pagliacciate finalizzate ad imporre un messaggio spesso comune: “qui comandiamo noi”. Basta guardare cosa accade ad esempio presso i fercoli di tante processioni tradizionali religiose di santi patroni al sud, esattamente come in qualche curva degli stadi: l’ostentazione di una presenza ingombrante cui rendere conto, l’ostentazione di un presunto potere cui si deve sottostare per qualche medievale legge del più forte (!?). Ora, dato che il fenomeno è conosciuto, tra i fercoli come tra le curve, perché non può essere combattuto e debellato? Come spesso accade, in fondo basta volerlo davvero, con rispetto per ogni passione, ma senza paura di alcun violento.

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