Tim e Open Fiber, strategie decisive per l’Italia

La definizione e lo sviluppo della rete unica nel settore delle telecomunicazioni. Cosa è in ballo con il controllo della proprietà, pubblica o privata, della rete in fibra in grado di unire il Paese
Tim e open fibra, reti Foto di Gerd Altmann da Pixabay

La contesa sul controllo della rete unica, che vede coinvolte le due società Tim e Open Fiber, è un dossier decisivo che il governo Conte deve affrontare in questi giorni. Cerchiamo di capire perché.

Il confinamento che tutti noi abbiamo dovuto subire per prevenire il contagio ha fatto crescere del 60% il traffico dati sulle reti di telecomunicazioni da casa: dallo smart working all’insegnamento a distanza esami e tesi di laurea comprese, ai servizi per la Pubblica amministrazione tutti o quasi on line, il boom dell’home banking ma anche delle piattaforme on line di pay tv.

In pochi mesi l’Italia ha raggiunto e in alcuni casi superato la media europea in fatto di vita on line e di accesso alla Rete anche di fasce di età adulta e anziana che finora erano state escluse dalla Rete e dal suo uso quotidiano.

Questo accelerato ed esplosivo salto verso la digitalizzazione di massa ha fatto emergere anche di più il divario dell’Italia rispetto ad altri Paesi europei, a Usa e Giappone. In particolare per quanto riguarda le zone periferiche del Paese, quelle rurali, montuose, dei piccoli centri, soprattutto al Sud , in cui si addensa una parte consistente delle imprese minori, dei lavoratori autonomi, degli studenti del nostro Paese.

Per questo l’esigenza di realizzare una Rete in banda larga è diventata una delle priorità per il rilancio dell’Italia dopo la crisi del Covid-19 a cui destinare anche una parte importante dei fondi europei destinati all’Italia dal Recovery fund. Di cosa si tratta quando parliamo di Rete a banda larga? Si tratta di una rete in fibra ottica e integrata con il 5G, la rete mobile ultraveloce, che coprendo tutto il Paese riesce a  trasportare velocemente e in modo sicuro i dati. Un’infrastruttura fondamentale per lo sviluppo economico e sociale e culturale non meno che la rete autostradale e quella ferroviaria

L’Italia ha un primato nella telefonia mobile ed una tradizione importante anche nella telefonia fissa. Si pensi che è stato il primo Paese europeo a realizzare la teleselezione interurbana su tutto il territorio nazionale negli anni ’70. Esiste inoltre una situazione di forte concorrenza che ha portato ad un forte abbassamento delle tariffe. E tuttavia ha maturato un ritardo nello sviluppo della banda larga che ora va recuperato presto e bene pena una minore crescita del Pil e dell’occupazione

Le cause del ritardo stanno principalmente in una lentezza e carenza degli investimenti nella banda larga almeno fino al 2018 da parte del gestore principale (Tim) della stessa rete in banda larga e, unico, della rete in rame, che è poi quella che anche i suoi concorrenti devono usare almeno fino all’armadio telefonico sulla strada.

Per capire meglio, la rete in banda larga è quella di nuova generazione in fibra ottica che permette un’alta velocità: serve a trasmettere in pochi secondi grandi quantità di dati, soprattutto immagini e video. La rete in rame è la rete telefonica tradizionale che attraverso la cosiddetta ADSL è in grado di garantire una buona velocità, ma sempre troppo bassa per le immagini e o video soprattutto in 4HD.

La Tim che solo sotto la recente guida dell’amministratore delegato Luigi Gubitosi ha ripreso ad investire fortemente nella banda larga ha trascurato e posticipato il suo impegno su questo fronte a causa del forte indebitamento in cui l’ha lasciata l’operazione di privatizzazione integrale compiuta alla fine degli anni ’90. Evento a cui ha fatto seguito  una lunga fase di instabilità gestionale dovuta all’alternarsi di diversi azionisti privati di controllo che hanno privilegiato le convenienze finanziarie di breve periodo piuttosto che una strategia industriale di sviluppo sul medio lungo termine.

Per questo il governo Renzi volle intervenire con una sua iniziativa nel campo della banda larga creando Open Fiber, una società a maggioranza pubblica nel campo delle reti di telecomunicazioni, costituita dall’Enel e dalla Cassa Depositi e Prestiti. Questa società doveva coprire le cosiddette aree bianche, quelle cioè dove Tim ma anche Fastweb o Vodafone non intendevano  investire perché non ritenevano che ci fosse un ritorno importante.

In realtà neanche Open Fiber ha fatto molto dalla sua costituzione, tre anni fa, investendo anche in aree non bianche, dove c’era già Tim, mentre questa ha reagito cominciando a coprire finalmente anche queste aree.

Si è quindi oggi di fronte al rischio che si sovrappongano investimenti con sprechi notevoli di risorse. In nessun Paese del mondo esistono  2 reti a banda larga ma ne esiste solo una, integrata con quella vecchia in rame, mentre su questa rete unica si sviluppa poi una concorrenza fra società che offrono servizi e applicazioni diverse alla clientela finale.

Oggi l’empasse per arrivare ad una società unica della Rete è nell’assetto proprietario: Tim, che è un soggetto privato controllato da azionisti in maggioranza  stranieri, i francesi di Vivendi e il fondo americano Elliot, vorrebbero il controllo di questa società, mentre i partiti di maggioranza , Pd e 5 Stelle, vorrebbero che il controllo della società passasse allo Stato attraverso la Cassa Depositi e Prestiti, che già controlla Terna, la società per la rete elettrica, la Snam, la rete del gas, e in futuro dovrebbe controllare anche la rete autostradale.

Si tratta di uno snodo importante su cui si muovono tanti soggetti pubblici e privati, imprenditoriali e politici, per raggiungere un accordo fra i tanti interessi in gioco.

L’interesse primario però è quello del Paese ad avere in tempi rapidi una nuova e unica e moderna Rete di telecomunicazioni ad alta velocità.

 

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