Thailandia: il “refugium peccatorum” dell’Asia

È uno dei Paesi più conosciuti e amati dai turisti di tutto il mondo, ma allo stesso tempo covo di criminali ricercati da gran parte delle polizie del pianeta. Complice il degrado etico e professionale in cui versa il corpo di polizia nazionale
Polizia thailandese

La Thailandia è uno dei Paesi più conosciuti e amati dai turisti di tutto il mondo. Anch’io, pur non essendo un turista, la amo con tutto il cuore: un Paese bello, con gente simpatica e gentile. Soprattutto un Paese dove puoi vivere bene. Purtroppo la Thailandia sembra che stia diventando, almeno dall’elenco dei criminali presi lì, una specie di “refugium peccatorum” per i criminali di mezzo mondo. In un mio articolo del 5 novembre 2013, “Snowden, gli Usa e le reazioni in Asia”, ho esposto circa qualche noto fuggitivo catturato in Thailandia; oggi vorrei spendere ancora qualche parola per gli ultimi sviluppi sulla sicurezza di questa nazione.

Leggendo la lista dei ricercati acciuffati nel Paese, c’è da chiedersi cosa stia succedendo: la lista delle nazionalità a cui appartengono i ricercati catturati fa pensare ad una sorta di “Nazioni Unite del crimine”: Belgio, Usa, Russia, Danimarca, Nigeria, Italia, Svezia, Colombia e potrei continuare elencando gran parte di Paesi del globo. Si tratta di individui, spesso, ricercati da anni e da tutte le polizie del pianeta e, guarda caso, rifugiati proprio in Thailandia.

Ottimo lavoro delle forze dell’ordine? Certamente, ma forse è il caso di capire qualcosa in più. Non sempre le forze dell’ordine lavorano così bene, bisogna dirlo. Un piccolo esempio del degrado etico e professionale in cui versa il corpo di polizia nazionale è la notizia di pochi giorni fa, secondo la quale un dipendente di un corriere internazionale, controllando in modo approfondito tre pacchi prelevati da un centro commerciale di Bangkok, ha scoperto che invece di giocattoli, come era scritto nella fattura d’accompagnamento, i pacchi contenevano parti di corpo umano e precisamente di un bambino. Avvertita immediatamente, la polizia si è messa sulle tracce di due stranieri: Ryan Edward McPherson e Daniel Tanner, due cittadini americani di 31 e 33 anni riuscendo a catturarli nella notte. La questione è apparsa subito complessa; i due non avevano comprato “la merce” in un negozio, di cui peraltro hanno dichiarato di non ricordare l’indirizzo. Per cause ancora da accertare, i due arrestati sono riusciti a farsi rilasciare dalla polizia e sono fuggiti immediatamente in Cambogia. Al mattino, è scoppiato il caso giudiziario internazionale, in quanto i due erano già stati imprigionati in America per film che istigavano alla violenza e sicuramente quanto volevano esportare dalla Thailandia (risultato poi rubato dal museo di uno degli ospedali di Bangkok) era qualcosa da utilizzare per scopi non leciti negli Stati Uniti. Essendo ormai il caso di interesse internazionale, ancora una volta, la polizia thailandese ha dato prova della propria capacità di prendere sì i criminali, ma anche di trovare un modo per farli dileguare rapidamente. «Ogni arresto può diventare una buona occasione di business», come si dice in Thailandia, tanto che le polizie di tutto il mondo sanno che se vogliono prendere i loro ricercati, devono riuscire in prima persona a stanarli, essendo presenti al momento dell’arresto, per evitare ogni possibilità di fuga “più o meno autorizzata”, come nel caso dei due americani di cui sopra. Al momento l’FBI ha preso in carico il caso.

E poi perché fuggire in Cambogia? Perché da anni, ormai, tutti scappano nel Paese in cui è facile eludere ogni arresto e dove vale la legge del denaro e delle pistole; è talmente vero che la Cambogia è stata chiamata, da alcuni analisti della regione, “il nuovo Afghanistan”, cioè una nazione senza legge dove “può accadere di tutto”. Prima o poi questi signori del crimine che si rifugiano in Cambogia, o Laos o Myanmar, fanno “cu-cu” alle frontiere thai o in qualche bella spiaggia, come nel caso del famoso e ricercato hacker svedese, Fredrik Neij, co-fondatore di ‘Pirate Bay’, catturato il 5 novembre scorso alla frontiera del Laos; oppure di Hamza Bendellagj, un altro famoso hacker soprannominato ‘happy hacker’ per la faccia sempre sorridente; e poco tempo fa, un altro hacker internazionale, il russo Farid Essebar, conosciuto anche come ‘Diablo’. Tutti e tre i signori, catturati con azioni combinate con polizie straniere.

Il problema della corruzione degli agenti in Thailandia è una problema endemico e non accenna a diminuire: il primo ministro, il generale Prayuth Chan-ocha, lo sa molto bene, ma riformare il corpo di polizia nazionale non è un’impresa che si improvvisa dal giorno alla notte. La corruzione dilagante è sinonimo di una deriva etica di cui soffre il Paese. Lo scandalo degli uteri in affitto, altro grande business illegale in Thailandia, ma comodamente perpetuato, è un’altra dimostrazione della situazione sociale. E tutto ciò nonostante la grandissima figura, dal punto di vista morale, del re Bhumidol Adulyadej, che, dalla sua incoronazione, il 5 maggio 1950, non ha mai cessato di cercare di dare un senso etico alla nazione, sia con la parola che con l’esempio.

È necessario mirare non solo a un benessere puramente materiale in Thailandia e nei Paesi del Sud-est asiatico (Asean), ma è necessaria una forte spinta verso i valori civili, verso le virtù politiche tanto care alla tradizione politica europea, per esempio. Ci vuole una maggiore attenzione all’uomo, alla grande massa di cittadini che vive in povertà e che ha bisogno di giustizia sociale. Sicuramente c’è anche bisogno di salvaguardare il Paese (e tutti i Paesi della regione), dall’assalto dei tanti “poco di buono” che girano il mondo in cerca di rifugi sicuri dove poter sferrare nuovamente i propri attacchi. Ci sono tanti che difendono l’onore e il valore del popolo thai: anche tanti poliziotti, giudici, avvocati onesti, che non si lasciano corrompere da “un pugno di dollari”, e col re e con tante persone di buona volontà, fanno di questo Paese ancora una perla sicuramente da visitare, almeno una volta nella vita.

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