Thailandia, destituito il primo ministro Yingluck Shinawatra

La Corte costituzionale rimuove il premier e altri nove ministri per abuso di potere. Da circa un anno, il Paese è scosso da proteste e manifestazioni contro la corruzione politica che sta portando la nazione nel baratro. Ultimo atto o inizio di una nuova rivoluzione?
Thailandia

La rimozione da parte della Corte costituzionale del primo ministro thailandese, Yingluck Shinawatra, e di nove ministri è l'ultimo atto di una vicenda iniziata nel 2006 con la destituzione dell’allora primo ministro Thaksin Shinawatra (fratello di Yingluck), e proseguita con l’avvento alla guida del partito Phue Thai della famiglia Shinawatra e l’elezione a primo ministro nel 2011 di Yingluck.

Sono stati, questi ultimi otto anni, non certo tranquilli per il popolo thailandese: tra catastrofi naturali (l’inondazione del 2012 e i periodi di siccità devastanti per l’agricoltura) e lotte di potere, che hanno visto spesso il sangue macchiare il suolo di questo pacifico regno, è un vero miracolo che il Paese regga ancora. Il popolo thai ha un amore viscerale per il re Bhumidol Adulyadei e un senso d’appartenenza alla nazione invidiabile e direi, per noi italiani, quasi incomprensibile. Ma tutto questo è un fattore positivo di coesione nazionale che serve da collante in un periodo così difficile e davvero incerto.

Era impossibile non prevedere la destituzione di Yingluk Shinawatra da primo ministro: era ed è evidente che la rimozione da lei operata nel 2011 di Thawil Pliensri da segratrio generale del Consiglio di sicurezza nazionale è stata una rimozione ingiusta e motivata dal voler eliminare uno scomodo avversario politico. Thawil Pliensri impediva la nomina di un parente della famiglia Shinawatra, il generale Priewpan Damapong, a capo della polizia thailandese. Una rimozione illegale, giudicata sufficiente dalla Corte costituzionale per destituire Yingluk Shinawatra. E questa è solo la prima di una lunga serie di accuse, ben 12, che dovrà affrontare nell’immediato futuro. Alcuni parlano già di esilio per lei, in alternativa al carcere.

È già un anno che vanno avanti manifestazioni contro il primo ministro, nella capitale (e non solo), ma la signora ha sempre fatto finta di non sentire, di non capire, di non sapere, di mettere tutto a posto; di muoversi nella legalità e d’essere vittima di un complotto da parte degli avversari politici. Ma la popolazione di Bangkok chiede che la politica thailandese non sia più  "cosa privata" della famiglia e degli interessi Shinawatra; chiede che tutto il popolo abbia la possibilità di esercitare un voto libero e onesto e che il Paese non venga considerato una "mucca grassa" da mungere a favore di pochi, mentre la stragrande maggioranza del Paese deve rimanere a guardare; soprattutto chiede che finisca una corruzione selvaggia ed evidente.

Ormai si parla che il 40 per cento di ogni progetto doveva essere considerato "mazzetta" obbligata per i politici. Qualcuno potrebbe obiettare che la corruzione è l’anima del commercio: davvero un grosso errore. Semmai è l’anima della povertà e della fame della gente. Ricordo solo uno degli episodi più eclatanti di questi ultimi mesi: il progetto da parte del governo di Yingluck Shinawatra di comprare il riso dai contadini ad un prezzo elevato per poterli aiutare a sollevarsi dalla miseria si è rivelato un autentico fiasco politico ed economico. Il governo non è riuscito a pagare la maggior parte dei (pochi) contadini che sono riuscti a vendere direttamente il loro raccolto alle agenzie del governo, ma la cosa più vergognosa è stata che la maggioranza del riso acquistato, e andato poi a marcire nei magazzini del governo, è arrivato dai Paesi limitrofi ed ha contribuito ad arricchire già ricchi uomini d’affari, che hanno naturalmente ringraziato il governo con lauti doni. E il governo è ancora indebitato con le quote del riso. Un vero disastro economico che peserà sulle spalle della gente per anni.

La gente della capitale, l’intellighenzia thailandese, ha protestato e gridato allo scandalo e a lei si è unita la classe media, creando un vero movimento politico per la fine della corruzione e per il ritorno alla legalità. Sono stati definiti, questi 12 mesi,  un’autentica scuola politica portata nelle strade della capitale thailandese, che poi si è estesa un po’ a tutta la nazione. Non è strano che la venditrice di noodles sulla strada ti sappia dire perfettamente che il primo ministro (ora ex) ha violato gli articoli 181, 266 e 268, in quali occasioni e per quante volte!

C’è una via d’uscita a questa tunnel politico? Non nell’immediato futuro. Anche le prossime elezioni programmate per luglio non possono andare avanti in un clima di contrapposizione come quello che si è generato. La nazione è spaccata in due grossi schieramenti: le camicie rosse e quelle gialle. Chi appoggia gli Shinawatra e chi li osteggia. E non è possibile guidare una nazione se la popolazione della capitale è contraria! Se il governo di coalizione guidato dal Phue Thai non trova un vero e giusto accordo con l’opposizione, con i Democratici, non è possibile andare avanti. Ma per questo ci vuole volontà e le migliori virtù politiche, fondamento di ogni democrazia: senso dello Stato, ricerca della giustizia e del bene comune più che del proprio interesse. Soprattutto c’è bisogno di umiltà politica, di saper fare quel "passo indietro" che può creare il clima adatto alla riconciliazione nazionale: ascoltare l’avversario, riconoscergli dignità d’esistere, d’esprimersi come soggetto politico. La Thailandia deve ritorvare il senso etico della politica, fondamento di un percorso comune per il bene di una nazione presente e per le future generazioni. C’è in gioco la Thailandia dei prossimi decenni e bisogna decidere presto e bene.

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