Terra: ce la possiamo fare!

Montreal, Parigi, Kigali, Marrakesh: gli stati del mondo, insieme, si prendono cura del pianeta. Pur tra difficoltà ed egoismi, la razza umana sta imparando ad affrontare le sfide di livello globale
Terra

I giornalisti, si sa, preferiscono le notizie ad effetto, la cronaca nera, gli scandali, i problemi. Tutto ciò che “colpisce” e “fa vendere”. Le notizie negative sollecitano la paura, l’indignazione e la ricerca del colpevole da additare alla pubblica condanna, quindi si possono riutilizzare per giorni e mesi.

 

Le notizie positive, invece, non hanno lo stesso impatto emotivo, in più hanno il difetto che sono difficili da trovare, relegate come sono in qualche trafiletto di ultima pagina, e soprattutto sono faticose da seguire nel tempo: a combinare guai infatti ci vuole un attimo, per costruire il bene comune occorre invece tempo e fatica. Eppure le notizie positive sono contagiose, come e forse più di quelle negative.

 

La storia del buco dell’ozono è indicativa a questo proposito. Negli anni ’30 e ’40 del secolo scorso furono messi a punto dei gas inerti per i frigoriferi e le bombolette spray: i Cfc (clorofluorocarburi). Sembravano praticamente perfetti per cui si diffusero in breve tempo in tutto il mondo, finché non si scoprì che, salendo in alta quota nell’atmosfera, distruggevano progressivamente il sottile strato di ozono che ci protegge dai raggi ultravioletti più pericolosi del Sole.

 

Da allora, fino a pochi anni fa, si sono susseguiti gli allarmi a raffica man mano che il buco di ozono si allargava. Fin dal 1987, però, si era riusciti a concordare il protocollo di Montreal che chiedeva agli Stati di tutto il mondo di mettere al bando progressivamente questi gas, sostituendoli con altri, gli Hcfc e Hfc (idrofluorocarburi), innocui per l’ozono. Pur con molta lentezza, e grazie anche alla capacità di innovazione dell’industria, la sostituzione è infine avvenuta, per cui negli ultimi anni i soliti trafiletti in ultima pagina hanno annunciato che il problema dell’ozono era ormai praticamente risolto.

 

Eppure questo fatto avrebbe dovuto avere un’enorme enfasi sulla stampa: la razza umana era riuscita per la prima volta ad influenzare e risolvere, volontariamente e in positivo, una sfida di livello planetario. Certo, con pazienza e una fatica durata decine di anni, in mezzo a resistenze ed egoismi nazionali, ma con risultati concreti e visibili.

 

La storia, però, non finisce qui: l’ecosistema del nostro pianeta è molto complesso e non ci sono soluzioni facili. Infatti si è poi scoperto che anche i gas Hcfc e Hfc, contenuti nei frigoriferi e nei condizionatori d’aria di oggi, hanno un effetto negativo: sono innocui per l’ozono, ma fanno aumentare la temperatura del pianeta. Non bastava quindi il recente accordo di Parigi contro il riscaldamento climatico, serviva affrontare anche questo aspetto.

 

Pochi giorni fa, con una velocità che indica come stiamo imparando a lavorare insieme pur tra le inevitabili resistenze nazionali, è stato firmato il protocollo di Kigali in Ruanda che impegna gli stati (prima i Paesi industrializzati, poi dal 2024 anche gli altri, incluse Cina e India) a ridurre l’uso di questi gas. In pratica è come se sparissero 70 miliardi di tonnellate di anidride carbonica. Una boccata d’aria fresca per il nostro pianeta.

 

Pochi hanno parlato di questo accordo così importante, mentre tutti i media hanno invece strillato per il livello massimo di anidride carbonica raggiunto nel 2015. Eppure ormai lo abbiamo sperimentato: se ci mettiamo insieme, con pazienza e tenacia, ce la possiamo fare. Tra pochi giorni, il 24 novembre, si terrà a Marrakesh in Marocco la prossima conferenza sul clima (Cop 22). Seguiamola con attenzione: è l’umanità che si prende cura del proprio pianeta.

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