Tempo d’amore

Tre belle pellicole al Festival del cinema di Venezia. La francese Nicole Garcia offre "Les Amants". Un mediometraggio di Pedro Almodòvar, "The Human Voice", recitato da una grandissima Tilda Swinton. "Quo vadis, Aida?" di Jasmila Zbanic
Tilda Swinton

È il tempo dell’amore. Al Festival del cinema di Venezia dopo il red carpet con mascherine – anche la divina Cate e la lunare Tilda – separate dal muro bianco dal pubblico, oltre i soliti “governativi”, il  cinema internazionale si muove e parla di amore, tema di sempre. La francese Nicole Garcia offre Les Amants, classico triangolo amoroso, patinato, ben recitato, conclusione inevitabile. Lui Simon, fa il pusher, lei, Lisa, lo ama di giorno e di notte. Un omicidio imprevisto fa fuggire lui, lei sposa un uomo d’affari. Anni dopo i due si ritrovano in un’isola sull’Oceano Indiano, la passione rinasce, ma il marito è di troppo…Un bel mèlo alla fin fine, lucido, in parte prevedibile ma di classe, com’è del cinema francese che ama queste storie di giovani estremi d’oggi, fragili emotivamente, lei soprattutto (la bravissima Stacy Martin). Vince la passione ma a caro prezzo, perchè negli amori estremi la morte è sempre presente e avvolge il film di un clima già dall’inizio presago di incertezze e di tristezze.

Come nel mediometraggio di Pedro Almodòvar The Human Voice, recitato da una grandissima Tilda Swinton, attrice  sola in un appartamento che sa di studio cinematografico. Sola, con il cane che ama l’ex amante fuggito ma non lei, la donna si abbandona all’attesa che lui venga a predersi  le valige, così lo vedrà. Tristezza, voglia di suicidio, prostrazione, disperazione, contemplazione della propria bellezza sfatta e infine la telefonata di lui, fredda, decisa. Lei si infuria, implora: il desidero di rivederlo è atroce, ma l’uomo fugge, come spesso dall’amore quando decide che è finito. Finchè questa donnna triste ed altera, brucia tutto e ricomincia una vita, si libera dal passato e dal desiderio. Dove andrà? Almodòvar scava nel sentimento con una foga meravigliosa ma lo supera in un processo mirabile di liberazione dal “colore del dolore” verso un possibile spiraglio.

Il dolore degli ultimi, così tragico e dimenticato, è il soggetto del  più bel film finora visto. Si tratta di Quo vadis, Aida? di Jasmila Zbanic, nata a Sarajevo nel 1974. Aida, interprete alla base Nato, nel  mezzo delle guerra, cerca di salvare la famiglia a Srebrenica. La Nato non aiuterà, i serbi uccideranno, fosse comuni, l’anima straziata. Aida non salva nessuno. Eroina dell’amore materno la donna (una grandissima Jasna Duricic) lotta contro la ferocia della guerra che dimentica e distrugge amicizie, legami, accusa la viltà della Nato, la doppiezza dei serbi. Il film irrita, commuove, stringe il cuore. La donna vedrà le ossa dei figli, farà ancora la maestra per insegnare ai bambini a non dimenticare, scoprirà fra i nonni un vecchio aguzzino, e rimarrà lei, icona indistrutta della inutile strage e di cosa sia davvero l’amore, oltre le contorsioni di tanto cinema Occidentale.

 

 

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