Tempi di guerra

Esce il 29 Lettera a Franco del regista cileno Alejandro Amenàbar sullo scrittore Miguel de Unamuno. Altra guerra nel thriller d’arte American Night.
Alejandro Amenabar, regista di "Letteraa Franco". (AP Photo/ Jesus Merida)

Presentato al Festival di Toronto nel 2019 esce solo ora il racconto sulla tormentata adesione dello scrittore spagnolo al regime franchista. Un film che fa riflettere sulla possibilità, allora come ora, di rendere assai difficile comprendere con chi schierarsi in tempi di conflitti. Anche per intellettuali e artisti. Così se Garcia Lorca finirà ucciso dai franchisti, Miguel sarà di fatto eliminato dagli stessi, confinato in casa, perso il rettorato dell’università di Salamanca, fino alla morte.

De Unamuno era un grande intellettuale basco, aveva criticato il regime monarchico, sofferto per questo l’esilio, sostenuto poi nel 1936 il golpe militare, pensando che avrebbe riportato l’ordine nella disastrata seconda Repubblica spagnola, suscitando la disapprovazione dei suoi amici più cari come il pastore evangelico Atiliano Coco e il professore Salvador Vila. I due verranno arrestati quando il generale Franco di fatto prenderà il potere e inutilmente lo scrittore intercederà per loro presso il Caudillo, ormai chiaramente filo-monarchico e nuovo Cid, “difensore” della civiltà cristiana. Unamuno, dopo compromessi e cedimenti, ha il coraggio di denunciare pubblicamente il regime franchista autoritario e razzista col rischio di venire linciato dal pubblico. Finirà esiliato in casa.

Come si vede, un cammino in salita quello dello scrittore in un film che racconta con dettagli incisivi anche la contrastata ascesa al potere di Franco. La denuncia del regime è chiara nelle intenzioni del regista che ha affidato la parte dello scrittore ad un intenso e veridico Karra Elejalde insieme ad un gruppo di attrici e attori perfetti. Certamente il film sottolinea troppo poco le crudeltà della sinistra “rossa” ma non manca di denunciare gli stessi metodi da parte dei franchisti. Il filo conduttore del film è la vicenda umana, familiare e amicale dello scrittore, seguita con notevole precisione e libera da indulgenze sul suo carattere tormentato che alla fine ha il coraggio della verità. Un messaggio assai attuale per tutti, specie per chi ha un potere intellettuale o politico e che dimostra come in Spagna la ferita sulla guerra civile non si sia mai rimarginata, come da noi (che però non abbiamo il coraggio di ammetterlo e lo nascondiamo alle nuove generazioni).

Paz Vega, attrice in “American Night”. (AP Photo/Brynn Anderson)

Altra cosa il film del neoregista Alessio Della Valle, American Night sul traffico delle opere d’arte. Il selvatico ed ambiguo Jonathan Rhys-Meyers, specializzato nei ruoli di angelo demoniaco, è un ex falsario, John Kaplam, ora proprietario di una galleria d’arte. Emile Hirsch è invece Michael Rubino, figlio di un boss, aspirante pittore, maniaco e alla ricerca del quadro di Marylin di Warhol che gli è stato sottratto. Il gallerista ha fiuto, capisce subito se un’opera è un falso: fatale dunque incontrarsi e scontrarsi con il boss, complici alcune donne di indubbia astuzia. Il film è un thriller per cui non riveliamo molto, se non che guarda a Tarantino nelle numerose scene di violenza, al mélo, alle performance artistiche estreme e anche ai sentimenti. Una miscela difficile da dirigere, e si vede, in un thriller spietato come sa essere talora anche il mondo dell’arte.

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