Televisione, l’esordio di “Noi”

Sei anni dopo l'uscita della serie americana This is Us, in Italia si tenta la strada del remake con Noi, andato in onda ieri, in prima serata, su Rai1.
Lino Guanciale Foto Stefano Colarieti / LaPresse

Un family drama eccezionale, un omaggio alla figura paterna. Più in generale un elogio delle relazioni umane, dei legami di sangue capaci di fertilizzare anche le relazioni altre: quelle con la società tutta. E ancora una riflessione sulle scelte e i cambiamenti che sono il sale della vita. Questo è stata This Is Us, soprattutto nelle prime due/tre stagioni: straordinarie, non di rado commoventi. Un’isola di bellezza, non zuccherosa, sempre credibile, educativa; ai cui contenuti è sempre corrisposta una forma narrativa di pari valore: tutta giocata sull’alternanza di livelli temporali.

Nel primo, due giovani sposi, Jack e Rebecca, aspettano tre gemellini, ma uno muore durante il parto. Siamo nel 1980 ed è un dolore enorme, ma il caso, la sorte, o forse Dio – che non viene mai nominato, in This is Us, ma la cui presenza, in qualche modo, si avverte spesso, vuole che nello stesso momento un neonato di colore venga abbandonato nello stesso ospedale, e un medico chieda ai due genitori se vogliano adottarlo. Usa la metafora del limone aspro che può diventare una buonissima limonata, e Rebecca e Jack accettano, ci stanno.

La grande sfida inizia e diventa la storia di una famiglia vitale e imperfetta, forte e unita nelle cose che contano. Un lavorare sano che arriva fino alla seconda linea temporale, dove vediamo i tre figli (Kate, Randall e Kevin), ormai adulti – trentaseienni – volersi bene anche se la loro vita non è facile, anche se non è una passeggiata e c’è da uscire da bonacce claustrofobiche o da porti inospitali. C’è anche Rebecca, mentre non c’è più Jack, e andando avanti e indietro nel tempo ci emozioniamo scoprendo perché la famiglia Pearson, coi suoi problemi, la sua fragilità, ma anche con una gran voglia di darsi una mano attraverso un sentimento reciproco profondo, sia qualcosa di utile e di bello, e cerchi sempre di far rima con verità e profondità.

Aurora Ruffino Foto Stefano Colarieti / LaPresse

Ora, sei anni dopo l’esordio di questa serie americana di meritato successo (era il 2016), l’Italia tenta la coraggiosa strada del remake con Luca Ribuoli alla regia (quello di serie impegnative come La mafia uccide solo d’estate e Speravo de morì prima) e Lino Guanciale e Aurora Ruffino rispettivamente nei panni di Pietro e Rebecca: lei non cambia nome, lui si, ma la sostanza e la bellezza restano quelle.

La scommessa si intitola Noi, ed è partita ieri sera, 6 marzo, in prima serata su Rai1. I Pearson sono diventati i Peirò e si andrà avanti per sei domeniche di seguito e per 12 episodi totali. Dai primi due risulta lampante, vistoso, netto, il rispetto per l’originale; il che è un bene vista la sua qualità, anche se per chi conosceva (ed ha amato) This is us, non c’è quella – più o meno necessaria, più o meno piccola – libertà di deviazione che può far rima con personalità e dare un sapore unico, indipendente, alla novità.

È un terreno insidioso, questo è chiaro, e non è facile gestire al meglio il rapporto tra (ottimo) materiale di partenza e utile, doveroso processo di italianizzazione. Ne ha parlato, dicendosi molto contento del risultato ottenuto, lo sceneggiatore Sandro Petraglia, importante penna della serie Noi:  «This is Us ha avuto il coraggio di raccontare alternando passato e presente, chiedendo allo spettatore di entrare in un meccanismo all’apparenza complicato, ma che offre il vantaggio enorme di eliminare i tempi morti: procedendo per scene principali, senza quelle di servizio. Scene drammatiche e ironiche, con personaggi in cambiamento, in anni e sfide diverse. È stato complicato ma ci siamo divertiti e appassionati. Abbiamo avuto problemi di abbondanza: Chattleya (che insieme a Raifction produce Noi) ha comprato i diritti di 18 puntate per farne 12 italiane. Così abbiamo potuto eliminare le ripetizioni e le cose eccessivamente americane».

Può darsi che nel (lungo) avanzare di Noi si avverta maggiormente questo processo di italianizzazione, che assume una forma più marcata tra il montaggio e la fotografia che ricalcano molto precisamente l’originale. «L’adattamento – ha proseguito il regista Ribuoli, che parlando dei nuovi personaggi si è commosso – è una cosa difficilissima. Gli sceneggiatori hanno avuto l’approccio giusto: rispetto dell’originale senza la pretesa di fare qualcosa di diverso o di migliore. Abbiamo cercato di sintonizzarci e di calarci nel progetto di partenza rendendolo – come già la scrittura aveva fatto – un racconto italiano».

Anche Aurora Ruffino ha parlato del rapporto tra l’originale e Noi. È una fan di This is Us e dopo essere stata scelta si è sentita addosso il peso di una grande responsabilità. Dopo la felicità è arrivato il panico, con settimane complesse e di dubbio. Poi la svolta: «Tutto si è risolto quando ho smesso di pensare alla serie americana e che ci sono grandi classici come Romeo e Giulietta che continuano ad essere proposti. Mi sono detta: è la nostra versione di questa storia meravigliosa». Sulla stessa linea Lino Guanciale: «Da che mondo è mondo traduciamo, esportiamo e importiamo da un paese all’altro. È un fatto che This is Us sia un grande classico della serialità televisiva contemporanea mondiale, come è un fatto che il nostro paese sia, che ci piaccia o no, debitore alla cultura americana di molte cose, soprattutto nel secondo dopoguerra. Quindi ha senso, attraverso lo specchio di un classico che viene dagli Stati Uniti, leggere noi stessi. Abbiamo lavorato con sincerità, cercando di difenderci dal nemico (sempre dietro l’angolo quando si parla di sentimenti) della retorica e del sentimentalismo. È una lotta utopica, ma abbiamo lavorato per un racconto che fosse il più onestamente possibile inclusivo, perchè in Noi ci si possa riconoscere a vario livello come italiani».

Vedremo, strada facendo, il risultato di tanto impegno, ma se i primi due episodi non hanno convinto appieno sul processo di italianizzazione, è certo già da ora che parlare in prima serata in chiaro, con un linguaggio così elegante e ricercato, di famiglia e personaggi alle prese con nodi e viaggi impegnativi, è di per sè un’impresa apprezzabile da guardare in modo positivo. Per un commento più dettagliato e un giudizio definitivo, bisognerà attendere altri 10 episodi.

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