Syntagma, la piazza della democrazia e della rivoluzione

Stasera dopo i verdetti dei seggi ci si radunerà in quello che è il cuore di Atene, tra file di negozi uccisi dalla crisi e interminabili code ai bancomat dove i greci continuano la loro dignitosa questua. «Ho visto i colonnelli. Ho visto la libertà. Ho visto la burocrazia. Vorrei finalmente vedere la democrazia», commenta un anziano. Su Facebook la diretta del direttore di Città Nuova
Atene

Syntagma è la piazza delle rivoluzioni e della democrazia prima del grande verdetto. Ci sono più furgoni per i collegamenti televisivi che camionette della polizia. Un barbone dorme sotto un grande cartellone che invita a votare come Tsipras, cioè no. I turisti si fanno i selfie con le guardie dinanzi al parlamento. La nettezza urbana spazza i volantini rimasti al suolo.

Ma è attorno alla piazza che s'incontra la Grecia vera di oggi. Grappoli di poliziotti, senza tetto a centinaia che dormono sulle soglie delle case. Decine e decine di negozi uccisi dalla crisi. Pensionati che frugano nei cassonetti. Preti che dai pulpiti non sanno cosa far votare, ma sembra propendano per il sì. Una vecchietta cerca di vendermi una forchetta forse d'argento. Un cronista intervista un ministro che invita tutto paonazzo a votare no.

Stasera Syntagma sarà piena. Non è la piazza dei no, potrebbe essere occupata dai sostenitori del sì: «In ogni caso – mi dice il giornalista Nikos Papachristou – ci sarà metà Grecia. Una grande sconfitta per la democrazia europea. Ma non ci ridurranno al silenzio. L'attacco alla nostra sovranità e alla nostra libertà è scandaloso». Gli fa eco un pensionato ottantatreenne: «Ho visto i colonnelli. Ho visto la libertà. Ho visto la burocrazia. Vorrei finalmente vedere la democrazia».

Dappertutto continuano le code ai bancomat. Qui si dice "prendere i soldi dal muro". Sono file silenziose, degne, senza vergogna alcuna. Quella dignità che è mancata al ministro tedesco quando ha commentato che il governo greco così lascia la mancia al suo popolo. Qui non sono "mancia" cinquanta euro: sono tre giorni di stipendio per un impiegato greco e siamo nella stessa Europa in cui un operaio tedesco o olandese guadagna tre o quattro volte la paga del suo omologo ellenico.

Nikos Paleologos  è un imprenditore informatico. Onestissimo e dedito alla ricerca costante del bene comune, sta passando momenti di grande incertezza. Non possono pagare i fornitori perché il loro conto in banca è stato bloccato e con la moglie Pania temono l'eventuale uscita dall'euro. Nikos trattiene a stento le lacrime mentre parla della libertà che è stata loro tolta, dell'enorme corruzione e dei fondi europei dirottati non sugli investimenti ma sui beni di consumo di lusso. Non accetta che gli onesti debbano pagare colpe non proprie. La sua eurofilia è totale e indefettibile, ma non si riconosce in una Ue delle banche e non della gente. «In questi ultimi anni abbiamo aiutato non pochi profughi siriani e iracheni che agognavano l'Europa. Ora noi stessi ci sentiamo profughi e potremmo lasciare la Grecia».

C'è tristezza, inutile negarlo. «Qui stiamo celebrando un atto di democrazia sotto le bocche dei fucili della Troika», rompe il silenzio sulla metro stracolma un trentenne in t- shirt sbrindellata. Sembra un incallito sinistrorso ma non lo è. «Sono semplicemente un disoccupato con due master».

Dalle 7 i seggi sono aperti. Sì è sempre più divisi. C'è molta polizia per le strade, stasera ci sarà anche l'esercito a proteggere obiettivi sensibili come ministeri e banche.C'è dignità in questo popolo, inutile negarlo. Chiedo il voto ai primi cinque che escono dal seggio vicino al mio alloggio: tre no e due sì. La battaglia sarà all'ultimo voto.

Stasera dopo i verdetti dei seggi ci si radunerà in quello che è il cuore di Atene tra file di negozi uccisi dalla crisi e interminabili code ai bancomat dove i greci continuano la loro dignitosa questua. «Ho visto i colonnelli. Ho visto la libertà. Ho visto la burocrazia. Vorrei finalmente vedere la democrazia», commenta un anziano

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