Studiare “alla frontiera”

Stare culturalmente sullo spartiacque; superare l’iper-specializzazione con una formazione che mette in relazione studi umanistici, tecnici, filosofici; vivere in un campus universitario in cui la qualità delle relazioni conta quanto lo studio. L’esperienza di Elena Destefanis.

A vincere quest’anno il primo posto tra le 100 università più innovative d’Europa è stata la piccola ma prestigiosissima “KU” di Lovanio, centro accademico d’eccellenza nelle Fiandre belghe. È la più antica università cattolica del mondo, nata nel 1425 con un’unica facoltà teologica per volere di papa Martino V. In 600 anni ha ampliato la propria offerta, introducendo numerose altre discipline, tra cui Economia e Ingegneria che oggi sono i suoi fiori all’occhiello, oltre a proficui dipartimenti di ricerca scientifica indipendente e interdisciplinare.  Spariscono dai primi posti della classifica Reuters gli hub di grandi capitali come Londra, Berlino o Parigi e tra i parametri che hanno fatto guadagnare lo scettro all’università belga ci sono l’incredibile quantità di brevetti depositati e l’unicità se non l’esclusiva sull’insegnamento di determinate discipline. La possibilità, in sostanza, di trovare lì e non altrove, il meglio e le novità di un percorso di studi.

«Certo, questo è il sogno spesso inconsapevole di tantissimi di noi: poter studiare quel che ti piace nel miglior centro accademico» mi spiega Elena Destefanis, 24 anni, una laurea triennale in Filosofia all’Università di Torino; arrivata all’Istituto Universitario Sophia due anni fa. Qui Elena ha frequentato i corsi di laurea magistrale con specializzazione in Ontologia trinitaria; nell’ultimo semestre si è trasferita all’Università statale di Perugia dove potrà conseguire il doppio titolo in Filosofia ed Etica delle relazioni, grazie ad uno degli accordi interuniversitari già attivi in ambito filosofico, e in fase di definizione nel campo degli studi politici ed economici, con questa ed altre università italiane ed europee.

Elena è reduce da un’esperienza che, anche lei come quasi tutti gli studenti IUS, definisce di studio e vita. Sì, perché Sophia, che il prossimo ottobre festeggerà i primi 10 anni, è a tutti gli effetti anche un laboratorio culturale internazionale: gli studenti vivono in residenze universitarie e la community life è una realtà quotidiana e vivace dove le relazioni hanno un ruolo principe; condivisione intellettuale e umana sono infatti parte del percorso di studi e le attività extracurricolari incoraggiano una formazione a 360°, necessaria in questo mondo dove il cambiamento sembra essere l’unica costante.

Gli studenti provengono da una trentina di Paesi e dai percorsi di studio più disparati. «Donne e uomini con il cuore e la mente a misura del mondo», recita l’incipit della nuova offerta accademica che sta prendendo il via proprio in questi giorni, come spiega il preside, il teologo Piero Coda: «Cultura dell’unità è stato il titolo accademico che abbiamo proposto all’inizio per esprimere la convergenza dei saperi, nel rispetto dei loro oggetti e metodi. (…) Ora, garantito il background di una cultura dell’unità con alcuni corsi di carattere interdisciplinare e trasversale, grazie alla crescita della qualità accademica e del numero dei docenti e in base alla sperimentazione sin qui fatta, si attivano due titoli distinti: quello in Scienze Economiche e Politiche, da un lato, e quello in Ontologia Trinitaria (e cioè filosofia e teologia), dall’altro. Questi titoli sono più qualificati accademicamente e più spendibili professionalmente».

«Volevo una formazione più completa e a Sophia l’ho trovata – riprende Elena. “L’interdisciplinarità è una prassi allo IUS ed è qualcosa di diverso da un esercizio di studio attraverso più discipline; questa non sarebbe una novità e tantomeno una specificità. A Sophia si ha la possibilità di porsi “alla frontiera” tra una disciplina e l’altra, facendo spazio alla ricchezza culturale che un nuovo soggetto di studio porta con sé».

«Qui ho studiato Politica, Economia, Teologia, materie che in un percorso classico di studi filosofici non avrei sfiorato; sento di aver acquisito una preparazione meno settoriale e più globale rispetto a una semplice laurea magistrale, appunto, in Filosofia. Altra caratteristica peculiare è il legame intensissimo tra studio ed esperienza di vita. Ho vissuto gomito a gomito con ragazzi di diversi Paesi con culture, sensibilità, professionalità diversissime dalla mia. Posso dire che tutti noi abbiamo fatto l’esperienza che ciò che si imparava a lezione arricchiva la nostra vita quotidiana e viceversa. In un contesto altamente multiculturale come questo, il mondo ti entra dentro. Pezzi di umanità di cui prima leggevo sulle pagine di cronaca ora hanno nomi, volti e storie perché ci ho vissuto a contatto diretto. Certo, accoglierci e capirci nello studio come nella vita spicciola non è stato facile, ma era necessario e quando ci riuscivamo ne guadagnava anche la comprensione, più autentica, delle lezioni.

Ora che sto per tornare nella mia città mi accorgo di avere uno sguardo molto più attento. Voglio incidere sulla realtà e lo farò come insegnante di Filosofia, che è quello che ho sempre voluto fare. Mi accorgo di avere acquisito maggiore capacità critica e nuovi strumenti sia culturali che relazionali per entrare in contatto con i suoi angoli, per provare a cambiarla, perché ho imparato che per dialogare occorre rischiare tutto, farsi ferire dall’altro. E di questo ne ho fatto esperienza. Non basta tollerare, o scambiarsi idee e opinioni.

Oggi la crisi umana e sociale è davvero profonda, ma sarebbe troppo banale arrendersi e dire che non è possibile superarla. Allo IUS ci si incontra e scontra quotidianamente con muri e frontiere soprattutto culturali, ma si cerca di farli crollare. Alla fine ti ritrovi una formazione che ti riveste come un abito con cui poi vai a lavorare, ti costruisci una professione e scopri talenti nuovi, come la capacità di costruire relazioni autentiche, di risolvere conflitti, di dialogare senza pregiudizi».

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