Strage sulla Marmolada: almeno 6 morti, si cercano dispersi

La valanga sulla Marmolada, al confine tra Veneto e Trentino, ha causato una vera e propria strage. Almeno sei le vittime, per il momento. Questo episodio ci porterà a ripensare il nostro modo di vivere la montagna.
(Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico via AP)

Ha fatto molto clamore la notizia di quella che è letteralmente una strage verificatasi in Marmolada, la cima più alta delle Dolomiti, al confine tra Veneto e Trentino: una massa di ghiaccio e roccia con un fronte di circa 300 metri si è staccata da quel poco che resta del ghiacciaio, travolgendo gli alpinisti che avevano approfittato della bella giornata di sole. Almeno sei i morti e otto i feriti, ancora incerto il numero dei dispersi: l’unica cosa sicura è che ci sono sedici auto abbandonate al parcheggio, ma impossibile per ora dire quante persone in totale vi fossero trasportate. Chi ha assistito parla di una scena davvero traumatizzante, tanto che alcune persone sono state riportate a valle in stato di shock.

La zona è stata immediatamente evacuata da tutti gli altri alpinisti, per il pericolo di ulteriori crolli, ed è tuttora vietato salirvi; mentre le ricerche dei dispersi sono state sospese, appunto perché i soccorritori stessi rischierebbero di tramutarsi in vittime – considerazione forse cinica, ma senz’altro realistica, specie contando che le possibilità di trovare qualcuno di vivo sono sostanzialmente nulle: i feriti erano tutte persone che si trovavano ai margini della frana, e quindi sono state colpite solo da detriti portati dallo spostamento d’aria, non sono rimasti sepolti.

(Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico via AP)

Al di là del giusto e doveroso cordoglio per le vittime, va precisato che affermazioni come “montagna killer” e “se la sono cercata, a fare cose di questo genere” sono assolutamente ingenerose. Siamo infatti di fronte ad una situazione mai vista prima: temperature inaudite (12 gradi sulla cima, a oltre 3300 metri), uno scioglimento del permafrost che ha fatto cedere, invisibile a tutti, il ghiaccio di base che tiene insieme non solo quello superiore, ma anche le rocce. Da anni non solo gli addetti ai lavori, ma anche i semplici appassionati, lanciano l’allarme: il ghiacciaio è tra quelli in più rapida ritirata in tutte le Alpi. Le stime sui tempi della sua totale scomparsa variano, ma stiamo comunque parlando di anni, non certo di secoli. Questo crollo è solo un segnale del fatto che la situazione sta – letteralmente – precipitando più velocemente di quanto non si pensasse.

Una cosa che ha colto di sorpresa anche chi la montagna la conosce bene, sia gli studiosi che i gestori dei rifugi – che non avevano infatti segnalato alcun pericolo – che chi la frequenta abitualmente: da quando è stata chiusa la cabinovia di Pian dei Fiacconi si arriva al ghiacciaio solo a prezzo di un lungo avvicinamento, per cui chi lo raggiunge è verosimilmente dotato di una preparazione fisica e tecnica indicativa di un certo grado di esperienza.

E ora? Innanzitutto bisognerà ripensare la nostra modalità di frequentare la montagna. I ghiacciai, tradizionalmente frequentati tra la primavera e l’estate, non lo saranno più nei mesi più caldi. La montagna ci ha letteralmente “rimessi al nostro posto”, dopo anni di sfruttamento turistico e ambientale spesso sconsiderato. Ma non è solo questo: bisogna ripensare in toto il nostro modo di rapportarsi con la montagna, e non solo chi la frequenta. Ci stiamo rendendo conto con questa siccità di come dalle terre alte dipenda la vita anche di quelle basse, e di come la natura sia un sistema interconnesso. I cambiamenti climatici ce lo fanno drammaticamente capire. Riflettiamoci.

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