Storia di un povero eroe

Un Eroe è l’ultimo film del regista iraniano Asghar Farhadi, vincitore a Cannes del Gran Premio Speciale della Giuria.
Il regista Asghar Farhadi al 74esimo Festival internazionale del cinema di Cannes, martedì 13 luglio 2021. (AP Photo/Vadim Ghirda)

Un uomo semplice in lotta con le disavventure della vita, la purezza del suo carattere, il senso della dignità che vuole mantenere: è la storia che il regista racconta, come fosse un film italiano del Neorealismo.

Tutto si svolge a Shiraz, tesoro archeologico e gloria nazionale e non a Teheran. Già dalla prima scena le imponenti rovine del re Serse sembrano nella loro altezza la muraglia della incomprensione umana che attraversa la storia di Rahim. Chi è questo uomo dal volto bello e triste, dall’animo nobile?

È un uomo che vive in prigione a causa del debito che non è riuscito a saldare con quello che è ormai il suo ex cognato, che lo disprezza, lo avvilisce pubblicamente. Rahim approfitta di due giorni di permesso dal carcere per cercare di trovare i soldi e riscattare il debito. Ci sono molti incontri, delusioni, incomprensioni: l’ingenuo Rahim con la sua faccia da cane bastonato e buono vi si trova immerso. Solo alcuni lo capiscono come un tassista ex carcerato, misero e nobile come Rahim. Capita che una azione generosa del nostro protagonista venga notata dai media, che lo esaltano come un eroe: in realtà lo strumentalizzano, salvo poi distruggerlo quando non serve più.

In questo film dove si osserva con una capacità descrittiva dettagliata la vita di un centro iraniano in cui l’antico si mescola con il nuovo – i ragazzini hanno tutti il cellulare, ci si saluta benedicendo – la fiducia nei rapporti umani è messa a dura prova.

Gli inganni, le bugie sono pane quotidiano nei rapporti. Ma non manca l’amore, in particolare quello della sorella di Rahim che è forse la sola a comprenderlo e a tentare di salvarlo dalla prigione, occupandosi anche del figlio dell’uomo, un bambino balbuziente affezionatissimo al padre.

Il film non apre a molte speranze. L’uomo che desidera solo una vita tranquilla per lavorare onestamente, sensibile come è, non trova spazio e ascolto in una società dove esiste l’inganno e lo sfruttamento. Il merito del regista è di saper scandagliare i sentimenti, scendendo in profondità, con asciuttezza ed una fotografia chiara ed incisiva. Vengono in evidenza nei frequenti primi piani le emozioni che attraversano gli occhi e i volti ma anche la modestia delle case che rispecchiano la semplicità della gente umile. La nostra simpatia va presto a Rahim che riesce almeno ad un certo punto a mostrare un timido sorriso, molto più vero rispetto alle facce degli operatori mediatici e dei funzionari del carcere.

Un film a volte anche crudele nel verificare la capacità umana di far soffrire la gente che desidera almeno salvare il proprio buon nome, ma autentico e commovente in particolare nel personaggio di Rahim (Amir Jadidi, perfetto nel ruolo), del suo bambino, ed anche delle donne che gli stanno intorno, come risvolto dell’amore nella storia di un povero eroe dei nostri giorni, capace di conservare la propria dignità sino alla fine. Da non perdere.

I più letti della settimana

Chiara D’Urbano nella APP di CN

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons