Stati Uniti, la democrazia messa al muro

Dichiarare lo stato di emergenza per aggirare il Congresso è l’ultima mossa di Trump, una scelta criticata, che mostra la deriva imperialista della sua presidenza

Nei suoi primi due anni di presidenza, Donald Trump ha cercato in tutti i modi di convincere il Congresso a maggioranza repubblicana a varare il finanziamento per la costruzione di un muro di confine con il Messico: non ci è riuscito. Venerdì scorso, per mantenere fede a uno dei cavalli di battaglia della sua campagna elettorale, ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale al fine di ottenere quei fondi, che durante i suoi comizi da candidato e le uscite da presidente, aveva sempre dichiarato che sarebbero stati erogati dal governo messicano: ora invece a sborsarli saranno i contribuenti statunitensi. Il budget previsto per la costruzione di appena 35 chilometri di barricata sarà di otto miliardi di dollari prelevati da fondi destinati al Pentagono, da un fondo antidroga e da uno legato ai beni confiscati.

Se la cifra desta critiche bipartisan (non pochi esponenti repubblicani hanno giudicato un eccesso la dichiarazione) e nel settore militare (uno dei maggiori supporter di Trump), ciò che allarma è il declino dell’istituzione presidenziale che un uso così superficiale dei poteri speciali mette ancora più in ombra. Trump non è certo il primo commander in chief a farne uso, ma in questa occasione non si palesa alcuna emergenza, come accadde ad esempio per l’attacco alle Torri gemelle dell’11 settembre 2001: quello stato di emergenza è tuttora in vigore a sottolineare che sulle minacce terroristiche non si può mai abbassare la guardia.

Lo stesso non può dirsi per la crisi migratoria: i numeri che Trump ha dato durante il discorso sullo stato dell’Unione, lo scorso 5 febbraio, sono stati smentiti dalla stesso dipartimento dell’immigrazione e nonostante continui a parlare di invasione di persone, droghe e criminali, i numeri sono ben lontani dalla crisi del 2000, quando il flusso migratorio toccò il milione e mezzo di rifugiati, mentre oggi ci si attesta sui 400 mila. Se l’emergenza ventilata nei suoi discorsi fosse reale, sarebbe quanto meno sospetto il rifiuto di un finanziamento di 25 miliardi offertogli dalla Camera dei rappresentanti in cambio di una legislazione che garantisca uno status di cittadinanza ai dreamer, i giovani arrivati nel Paese da bambini a seguito di genitori senza documenti e che da oltre un anno vivono nell’angoscia di essere espulsi e senza alcuna garanzia.

AP Photo/Pablo Martinez Monsivais
AP Photo/Pablo Martinez Monsivais

Quanto mai inusuale per la dichiarazione di un’emergenza è stata la scelta del set: il Giardino delle rose della Casa Bianca, durante una conferenza stampa più focalizzata sulla politica estera che su quella interna. Un presidente confuso e imprevedibile ha dichiarato che avrebbe potuto scegliere tempi più lunghi per la costruzione del muro, ma lo stato di emergenza gli consentirà di accorciarli. «Non avrei avuto bisogno di farlo… Voglio solo farlo più velocemente. Avremo un’emergenza nazionale, e saremo poi citati in giudizio», ha continuato nel suo incontro con la stampa consapevole dell’iter a cui va incontro la sua decisione e allo scontro di poteri che avrebbe aperto. Infatti la Camera dei rappresentanti, a maggioranza democratica, è intenzionata a presentare un progetto di legge per bloccare la decisione di Trump e, anche se i numeri al Senato non sono favorevoli, saranno sufficienti appena 4 senatori repubblicani per dare scacco al presidente. E, al momento, i numeri di coloro, fortemente contrari, sono ben superiori. Il presidente potrebbe rifiutare con il veto di firmare la norma, e allora ad intervenire sarebbe un tribunale che potrebbe portare il caso fino alla Corte suprema.

La presidenza, poi, potrebbe essere citata in giudizio dai proprietari delle terre di confine e il governo dovrebbe forzare la mano con un’espropriazione che non è assolutamente richiesta dal livello migratorio della zona. Anche i governatori di California e Nevada hanno annunciato ricorsi in tribunale se i fondi per la costruzione dovessero intaccare le loro finanze, mentre il procuratore generale di El Paso, la zona di confine dove gli agenti di frontiera hanno causato, alla vigilia di Natale, un’emergenza umanitaria rilasciando gli immigrati in stato di detenzione, ha più volte ribadito che nulla di quanto accade alla frontiera può essere dichiarato “emergenza”. Negli ultimi comizi del presidente, i cartelli elettorali “Build the wall”, cioè “costruisci il muro” sono stati sostituiti con “Finish the wall”, cioè “finisci il muro”, segno che la corsa alle nuove presidenziali è già partita e le promesse della campagna nazionalista del presidente devono diventare fatti, anche a discapito degli organi costituzionali e delle procedure legislative.

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