Sospesi tra amore e responsabilità: il rischio di perdere la coppia nella genitorialità

Diventare genitori è una delle esperienze più intense e trasformative della vita. È una rivoluzione dell’identità, dei ritmi, dei bisogni. Ma accade, molto più spesso di quanto si dica apertamente, che in questa trasformazione la coppia smetta di essere tale e diventi esclusivamente un’équipe genitoriale.
Foto Pexels

Un “noi” operativo, ma privo di intimità. Funzionale, ma svuotato di connessione emotiva e desiderio. Stefi e Luca sono insieme da otto anni, genitori di due bambini di tre e sei anni. «Andiamo d’accordo racconta Stefi –, ma è come se fossimo coinquilini. Collaboriamo bene, ma non ci guardiamo più. E se lo facciamo, è solo per capire chi ha sbagliato qualcosa con i figli o chi deve fare cosa». Luca annuisce, dicendo: «Non litighiamo nemmeno più… non abbiamo tempo per litigare».

La loro storia è comune. Secondo uno studio il 67% delle coppie riporta un calo significativo della soddisfazione relazionale nei primi tre anni dopo la nascita di un figlio. Si tratta di un periodo critico, spesso invisibile, in cui il focus esclusivo sui figli può influenzare la qualità del legame di coppia.

Il burnout genitoriale è una condizione sempre più riconosciuta: sofferenza emotiva, sensazione di inefficacia, distacco dal partner. Non si tratta di “stanchezza normale”, ma di un vero e proprio stato di stress cronico, documentato in numerosi studi (Mikolajczak et al.). A esserne colpiti sono entrambi i partner, spesso alternandosi nel ruolo di “pilota automatico”.

Il burnout genitoriale può essere favorito da una combinazione di fattori: alto livello di responsabilità e aspettative (pressioni sociali o personali che richiedono una performance genitoriale “perfetta”); squilibrio tra richieste e risorse disponibili (mancanza di supporto familiare o sociale e difficoltà economiche); stress cronico (sovraccarico emotivo e cognitivo legato alla gestione quotidiana della vita familiare); perfezionismo (si è molto esigenti con sé stessi). Di conseguenza, può aumentare il rischio di depressione e ansia, una maggiore predisposizione a risposte emotive estreme (es. irritabilità) con possibile sviluppo di problemi somatici (insonnia, cefalee, tensioni muscolari).

Chiaramente, tutto ciò può avere un grosso impatto sulla relazione di coppia. Sarebbe utile provare ad accettare i propri limiti e ridurre le aspettative irrealistiche, delegare compiti e chiedere aiuto quando necessario e praticare il self-care (sonno, alimentazione equilibrata, attività fisica). Quando la coppia entra in stand-by, i dialoghi diventano “logistici”, i gesti di cura si dirigono solo verso i figli, l’intimità fisica si riduce a zero. Ma tutto appare “normale”. È il paradosso: si è più vicini che mai fisicamente, ma emotivamente distanti.

Non tutte le coppie affrontano questa crisi nello stesso modo. Ciò che fa la differenza è la capacità di riconoscerla e di intervenire prima che diventi uno stato permanente. Secondo le ricerche di Sue Johnson, il bisogno fondamentale nelle relazioni adulte è quello della “sicurezza emotiva”. Quando questa viene a mancare, non si smette di amare: si smette di sentirsi amati.

Stefi e Luca, per salvare la loro relazione, decidono di rivolgersi ad uno psicologo e iniziano a fare un piccolo esercizio di comunicazione: dieci minuti ogni sera, senza telefoni, senza bambini, solo per parlare. All’inizio è faticoso. Parlano del tempo, del lavoro, poi del passato. Dopo qualche settimana, qualcosa si scioglie. «Mi sembrava di sentire di nuovo la sua voce dice Stefi . Come quando ci scrivevamo le mail all’inizio».

Il tempo di qualità, trascorso insieme, è fondamentale: bastano pochi minuti di connessione autentica al giorno per riattivare i circuiti della complicità. Non servono gesti eclatanti, ma intenzionalità. Un caffè condiviso la mattina, uno sguardo, una domanda vera. Quali possono essere le strategie pratiche per uscire dallo stand-by?

Calendarizzare un tempo di coppia, anche breve, ma sacro. Non deve essere necessariamente romantico, basta che sia esclusivo.

Parlare come partner, non solo come genitori. Chiedersi: “Come stai TU?”.

Riconoscere e condividere il proprio carico emotivo, evitando il gioco delle recriminazioni.

Accettare l’imperfezione: non esiste la coppia ideale, ma una coppia che si ascolta, evolve, si riscopre.

La coppia non si perde di colpo: si spegne lentamente, tra pannolini, orari scolastici, lavatrici e conflitti serali. Ma può anche riaccendersi con piccoli gesti, con parole semplici, con la volontà di ritrovarsi. Essere partner è una scelta. E come tutte le scelte, può essere rinnovata, anche dieci minuti alla volta.

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