Solo per vendetta

Nicholas Cage interpreta un thriller che interpella direttamente lo spettatore: fino a che punto è legittimo usare la violenza per difendersi?
solo per vendetta

Un thriller ben fatto, con un Nicolas Cage finalmente in forma, dopo i disastri interpretativi de Il mistero dei Templari. Lui è un mite professore d’inglese – siamo negli Usa a New Orleans – felicemente sposato con la musicista Laura (January Jones). La moglie viene stuprata e l’incantesimo finisce. Disperato, il professore cede alle lusinghe di un misterioso personaggio che gli dà la possibilità di vendicarsi dello stupratore, senza avvisare la polizia: una “giustizia fai-da-te”, usuale in una città che conta parecchi omicidi insoluti. Ma il prof deve ricredersi, perché se è vero che il delinquente viene ucciso, resta il fatto che egli si trova al centro di una rete di ricatti da parte del “personaggio misterioso”, che sembra infinita. L’uomo mite diventa un violento, scopre la parte nera di sé stesso, costretto da circostanze drammatiche impreviste e da uno stato che non garantisce la punizione ai delinquenti.

 

Pieno di suspence, diretto con mano ferma da Roger Donaldson, pur prevedibile in alcune sequenze del genere “poliziesco” (violenze, telefonate scioccanti, fughe ed inseguimenti), il film è anche una chiara denuncia antigovernativa sulla corruzione della polizia e dei personaggi che “contano”.

 

Il finale è consolatorio ma non troppo. Questa organizzazione segreta sui giustizieri fai-da-te è invischiata in ogni rete della società. Il volto stupito di Cage di fronte a questa realtà lascia smarrito anche lo spettatore che non cerca solo un film “di genere”, ma che in fondo si pone una domanda: la violenza personale per difendersi fino a che punto è legittima?

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