Slotmob mette assieme cardinale e centri sociali

Nella Capitale e in altre 60 piazze in Italia per raccontare un legame sociale più forte del potere del denaro. Mentre l’ennesima leggina incentiva il mercato dell’azzardo. Un motivo in più per scrivere personalmente a Mattarella chiedendo di togliere, quanto prima, l’affare alle multinazionali. Il racconto collettivo di un Paese capace di andare oltre l’indignazione
piazza

Uno strano movimento si è aggirato per l’Italia sabato 7 maggio coinvolgendo luoghi emblematici delle città come il quartiere Giambellino a Milano ,cantato da Giorgio Gaber, o l’area Sud est dell’Appio Tuscolano a Roma, passando per una via centrale di Reggio Calabria e il paesino di Coggiola tra le montagne del biellese, in Piemonte, dove una comunità si è messa in fila per prendere un caffè nell’unico bar libero dall’offerta dell’azzardo  che resiste in quella zona geograficamente lontana dai riflettori mediatici.

 

Ognuno dei 61 eventi dove si è svolto uno Slot Mob si potrebbe raccontare a partire dai rapporti che lo hanno costruito e dalle tante storie sommesse e preziose che si nascondono dentro un bancone di un bar.  Non si piegherebbe altrimenti il fiorire di una rete di cittadinanza che risponde spontaneamente alla proposta di compiere un gesto collettivo di consumo critico che non è un atto volontaristico o “buonista” ma intrinsecamente “sovversivo di un ordine ingiusto”.

 

Per capire le ragioni profonde di questo atto di liberazione si può leggere il contributo di Luigino Bruni pubblicato il 7 maggio su cittanuova.it  dove si descrive l’azzardo di massa, incentivato dallo Stato, come l’atto di culto verso un capitalismo diventato religione totalizzante che richiede sacrifici umani e genera un debito inestinguibile.  Lo sa bene il cardinal Agostino Vallini, vicario del papa per la città di Roma, che è salito sul povero palco allestito in piazza Re Di Roma, per dire: «fateci caso è nelle periferie che il fenomeno è particolarmente diffuso. Vanno a prendere le persone lì dove ci sono le difficoltà più grandi. È nella disperazione che si alimenta il gioco d’azzardo, così come l’usura».

 

Vicino a Vallini, il direttore della Caritas, don Enrico Feroci, che conosce molto bene il volto di una metropoli dove avvengono 13 sfratti al giorno per morosità incolpevole e le famiglie del ceto medio, che hanno ancora un reddito da offrire in garanzia, cadono facilmente vittime della spirale del debito delle società finanziarie. Per non parlare del baratro che si potrebbe aprire per migliaia di famiglie in vertenze come quella dei call center di Almaviva.  

 

Così neanche la logica di un famoso e geniale matematico come Ennio Peres, presente nella stessa piazza per rispondere ai tavoli allestite dalle associazioni ludiche, può fare da argine alla disperazione che si coltiva dentro le periferie esistenziali della città, quando l’azzardo compare non solo come magica e sola fonte di un reddito di ultima istanza ma anche come fuga dalla realtà troppo dura e spietata da affrontare.  

 

Ma è proprio dentro questi conflitti che si accende la speranza. Lo si può cogliere nel video prodotto per repubblica.it da Cristina Massaro,  quando documenta l’attimo in cui Giulia Ruggeri, generosa referente del presidio di Libera, molto attivo nel popoloso quadrante romano, consegna l’etichetta di Slot Mob ad uno dei baristi immuni dall’offerta dell’azzardo. Un atto compiuto con gratitudine, rispetto e pudore verso persone che non vogliono apparire o suscitare polemiche ma solo chiedono di poter vivere con dignità e umanità come le tante altre testimonianze che arrivano dalle cronache locali degli altri Slot Mob in Italia restituendo volti di festa, i sorrisi di una vittoria duratura e non effimera.

 

Si può sperimentare una vita libera dall’ossessione del profitto? È quello che cercano di raccontare i centri sociali e i movimenti che sono saliti sulla stessa pedana usata dal cardinale per raccontare come la rimessa in discussione della gestione dell’azzardo si lega al loro impegno di ogni giorno contro la speculazione, la mercificazione dei territori impoveriti di reale socialità e condivisione. Lo hanno detto, ad esempio, assieme a tanti altri quelli di Cinecittà Bene Comune o di Scup (Sport e cultura popolare), che hanno occupato nel quartiere una scuola e poi una stazione abbandonata per farne uno spazio polifunzionale a servizio della città pur sapendo di essere sempre sotto sfratto, mentre a pochi passi, una multinazionale spagnola (Codere) ha aperto , come dice la sua pubblicità, «la Gaming Hall RE, una delle più grandi sale da gioco presenti in Italia. Un edificio di due piani che offre ricercati e moderni spazi dedicati al tradizionale gioco del Bingo, alle Newslot, alle Videolottery e un ampio e comodo parcheggio».

 

Davanti a questo stato di cose non si può solo sostenere, con il consumo critico, gli esercizi commerciali liberi dall’azzardo ma ridiscutere democraticamente l’affidamento dei cosiddetti “giochi leciti” alle  grandi società del settore che fanno il bello e cattivo tempo come si può vedere nell’articolo di spalla del Corriere della Sera di lunedì 8 maggio dove la coppia Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, proprio a commento dello Slot Mob Fest del 7 maggio messo in risalto dal solo Avvenire, mette in evidenza l’ennesima norma contenuta in qualche piega di una legge che incentiva l’offerta dell’azzardo.

 

Secondo l’economista Leonardo Becchetti sarebbe conveniente anche per le aziende del settore di Confindustria Gioco cambiare tipologia di produzione facendo cioè il cammino inverso di De Agostini, passata dalle carte geografiche a Gtech. Ma l’appello sembra destinato a restare inascoltato. Nulla di nuovo sotto il sole. La vera novità consiste in quel pezzo di umanità che non si rassegna ma, come dice il manifesto di democrazia economica di Slot Mob, ha «un’altra idea di stare al mondo».

 

Continuare a scrivere personalmente a Mattarella non serve a misurarsi. Le 500 lettere spedite da Slot Mob di Foligno o l’unica busta che arriva da un paesino sconosciuto, come da una periferia metropolitana, testimoniano l’urgenza di rifondare continuamente una Repubblica nata, come ribadiva Piero Calamandrei nel 1956, da chi seppe rivendicare, la sua “dignità di persona contro la tirannia”.  Ora come allora si può fare la stessa domanda che si poneva questo padre costituente: «a che serve la tecnica della politica con i suoi sillogismi se non è mossa dal fuoco della speranza?».

 

qui la lettera da scaricare e mandare al presidente della Repubblica

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