Siria, vertice del “Gruppo di Astana”

Russia, Iran e Turchia cercano di trovare una soluzione almeno a qualche elemento del rompicapo siriano. Pur nelle diversità di vedute, in particolare a proposito dei curdi, continuano a trattare.

Negli stessi giorni in cui si riuniva in Polonia la cosiddetta “Conferenza ministeriale per promuovere un futuro di pace e sicurezza in Medio Oriente”, a Sochi, in Russia, si è riunito, il 14 febbraio scorso, il quarto vertice del Gruppo di Astana per la promozione del processo di pacificazione siriano, con l’incontro dei tre capi di Stato di Russia, Turchia e Iran, cioè Putin, Erdogan e Rouhani. Ovvero l’altra faccia del conflitto siriano, quella che sostiene ufficialmente il governo del presidente siriano Bashar al-Assad, nonostante i distinguo di Erdogan, personaggio difficilmente inquadrabile da qualsiasi parte lo si collochi.

Formalmente si sa poco sui colloqui bilaterali e trilaterali che si sono svolti a Sochi fra i tre vincitori virtuali del conflitto che da otto anni insanguina la Siria. Ma si può tentare di dare fondatamente voce a quanto accaduto sulla base di ciò che è stato detto ufficialmente o che è trapelato. Quanto emerge, per quanto problematico, sembra più promettente, paradossalmente, per la pace in Siria della “sceneggiata” di Varsavia, tutta giocata sul teorema del contrasto a Teheran e del sostegno incondizionato al presidente israeliano Netanyahu e al ministro della difesa saudita Muhammad Bin Salman.

Prima di incontrare il leader russo Putin, il suo omologo turco Erdogan ha dichiarato ai giornalisti che contava di ottenere l’appoggio russo e iraniano per ritagliare un corridoio smilitarizzato di protezione lungo il confine turco-siriano in funzione anti-curda e che alla Turchia fosse affidato il controllo di quest’area. Ma Putin e Rouhani su questo “corridoietto” di 30 per 900 km non hanno ceduto, affermando che nessuno poteva realizzare una cosa simile in terra siriana senza il consenso esplicito del presidente al-Assad. E i curdi del nord-est della Siria sono pur sempre siriani, anche se Erdogan tende a dimenticarsene: per lui sarebbero solo dei terroristi in combutta con qualche milione di “turchi di montagna”, che in realtà sono curdi anche loro, ma in Turchia anche il solo nome Kurdistan è proibito, e viene perseguito chi osa pronunciarlo.

Siria IdlibPutin e Rouhani avrebbero invece tentato di convincere Erdogan a farla finita con la sacca di Idlib, nel nord-ovest della Siria, tanto più che i jihadisti di al-Nusra e compagni (o Hts, come si chiamano ora) si sono recentemente allargati all’interno dell’enclave a spese dei gruppi filo-turchi. Niente da fare, Erdogan non ha accettato la richiesta, pare senza spiegazioni. Il presidente turco, a differenza di Putin e Rouhani, continua a non riconoscere Assad come legittimo presidente della Siria, e in più coltiva il sogno di sostituire i soldati statunitensi in uscita dal nord della Siria con militari filo-turchi, senza riconsegnare i territori liberati dai jihadisti al governo siriano. Come peraltro è già avvenuto nell’area di al-Bab-Jarablous e nella regione di Afrin, territori siriani occupati dai turchi rispettivamente nel 2017 e nel 2018.

È chiaro che russi, iraniani, governativi siriani e gli stessi statunitensi, ma soprattutto i curdi, non avrebbero alcuna intenzione di permettergli un colpo del genere, ma in questi intrighi di potere non si sa mai. Per i curdi scongiurare un’occupazione turca è irrinunciabile e vitale. Per questo si appellano ai singoli Paesi europei (più che all’Ue) almeno per un massiccio sostegno di peacekeeping. Altrimenti dovranno trattare con Assad e rinunciare a gran parte della loro autonomia per frapporre uno scudo all’invasione turca, con relativo massacro annunciato di governo e vertici militari curdi, considerati da Erdogan terroristi peggiori dello stesso Daesh per il loro collegamento esplicito al Pkk curdo fondato da Abdullah Ocalan. Si tratta del governo del Pyd curdo-siriano (Partito di unione democratica) e dei militari delle delle Ypg (Unità di protezione popolare) inserite nell’alleanza delle Sdf (Forze democratiche siriane), che hanno sconfitto sul terreno, con la copertura statunitense, il Daesh in tutto l’est della Siria.

Nella conferenza stampa finale, oltre a concordare sul fatto che tutti i tre partner ritengono positivo per la Siria il ritiro statunitense (che si prevede entro aprile 2019 da tutto il Paese ad eccezione della base di al-Tanf, al confine meridionale), nonostante tutto Putin ha definito molto positivo il clima del trilaterale di Sochi, e si è detto fiducioso che la crisi siriana «sarà risolta dal processo politico e dai negoziati».

 

 

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