Sfiduciato il sindaco anti-abusivi

Angelo Cambiano, il sindaco di Licata che aveva avviato la demolizione delle villette abusive del lungomare, è stato mandato a casa. Il consiglio comunale ha votato per la sua destituzione: 21 consiglieri su 30 hanno deciso che era inadeguato al ruolo e che aveva tradito il mandato elettorale

Va a casa il sindaco che, nei due anni del suo mandato, aveva avviato un’azione forte contro l’abusivismo. Una scelta non politica, né amministrativa: la demolizione delle villette realizzate a meno di 150 metri dalla battigia (in zona di inedificabilità assoluta) era stata decisa da sentenze del Tribunale di Agrigento, molte passate anche al vaglio della Cassazione. La lotta all’abusivismo era iniziata già alla fine del secolo scorso, ma solo negli ultimi anni si è giunti alle sentenze definitive.

La Procura, cui spetta il compito si sovraintendere all’applicazione delle sentenze, ha convocato, già alcuni anni fa, i sindaci della provincia di Agrigento, chiedendo di eseguire le demolizioni. Il sindaco di Licata, Angelo Cambiano, ha avviato subito questo percorso. In maniera più “solerte” rispetto ad altri colleghi della zona. Ma già altri comuni si stanno muovendo nella stessa direzione. Con fatica, perché a frenare ci sono le note difficoltà di cassa, la mancanza di risorse ma, ancor di più, le difficoltà legate all’impopolarità di questi provvedimenti. Cambiano, che ha iniziato per primo, ha pagato lo scotto: due case incendiate, proiettili spediti per posta, la decisione di assegnargli una scorta (analogo provvedimento è stato assunto per il capo dell’ufficio tecnico).

La sfiducia è l’ultimo atto. Il consiglio comunale ha deciso che Cambiano non può rimanere nella carica di sindaco. Lo ha fatto con il voto dei due terzi, che la legge ritiene necessari per mandare a casa un sindaco. Ufficialmente, il siluramento è dovuto alle carenze amministrative del sindaco. Ma la vicenda si colloca su un piano diverso: Cambiano, fin dalla sua elezione, due anni fa, non ha mai potuto contare sul sostegno della maggioranza consiliare. Il gruppo che lo sosteneva era in minoranza, l’azzeramento della giunta, a settembre 2016, e alcune nuove alleanze, non avevano modificato, di fatto, la situazione. La mozione di sfiducia era nell’aria fin dai primi mesi del suo mandato: è arrivata, puntualmente, dopo i due anni previsti per legge. E ha colpito un sindaco che aveva deciso di fare applicare la legge. E che ne ha pagato il prezzo.

La solidarietà espressa da più parti, da vari esponenti politici, fa da contraltare all’azione dei consiglieri comunali (spesso facenti parte degli stessi schieramenti che ufficialmente hanno espresso solidarietà) che invece hanno deciso di mandare a casa il sindaco. Accusato di gravi inadempienze amministrative e di aver tradito il mandato degli elettori. Ma hanno mandato a casa – guarda caso – proprio il sindaco che aveva fatto demolire le villette. Una “coincidenza” che lascia perplessi.

Lui, il sindaco sfiduciato, ha annunciato la volontà di presentare il ricorso al Tar. Ma, a distanza di pochi giorni, la sua posizione sembra mutata: «Ho 26 anni, un figlio nato 9 mesi fa, sono costretto a vivere sotto scorta, ho voglia di riacquistare la mia normalità. Non so ancora quale scelta farò». Potrebbe tornare al suo lavoro di insegnante di matematica. Senza abbandonare la politica. «Voglio continuare a credere nella buona politica – spiega – anche se in Sicilia è davvero difficile!»

E aggiunge: «Sono deluso. Molto. Decidere di far commissariare la città per un anno è un atto grave. Le accuse nei miei confronti sono false, sono pretestuose. La mozione di sfiducia è basata su motivazioni false e di facciata. Ho fatto arrivare in città 52 milioni di finanziamenti, abbiamo riaperto gli asili nido, il museo archeologico. Le ragioni – è chiaro – vanno ricercate altrove. Magari, chissà, qualcuno potrà lucrare questo risultato in vista delle prossime regionali! Magari si annuncerà o si farà sperare, in una sanatoria. Questa è una politica che continua a prendere in giro la gente! »

Nonostante sia sempre stato un sindaco “minoritario”, nonostante la forte opposizione con cui ha sempre convissuto, la mozione di sfiducia lo ha sorpreso. «Un sindaco fa il proprio dovere. Il sindaco esegue le sentenze. Le demolizioni non sono decisioni del sindaco, ma della magistratura. Ho fatto rispettare la legge e ne ho subito le conseguenze. Ma non mi sarei mai aspettato che un sindaco che ha subito minacce di morte, con una situazione difficilissima, venisse sfiduciato. Mi sarei aspettato il sostegno alla mia azione per la legalità anche dall’opposizione».

In aula, prima del voto di sfiducia, Cambiano ha parlato di interessi personali di alcuni consiglieri, interessati direttamente dalle demolizioni. Alcuni sono proprietari di immobili, o lo sono dei loro parenti. Dal comune è già partita una segnalazione alla Procura inviata dal sindaco e dal responsabile dell’ufficio tecnico: riguarderebbe la posizione di 7 consiglieri. «Vorrei sapere se c’è correlazione tra il voto di sfiducia e questi interessi personali», spiega Cambiano.

I consiglieri di opposizione non ci stanno. La loro è “un’altra verità”. Giuseppe Federico, uno degli ex consiglieri che hanno promosso la mozione di sfiducia, ha diffuso una lettera aperta: «Cambiano accusa i 21 consiglieri di aver votato la mozione di sfiducia per la faccenda “demolizioni”, cosa non veritiera. Le vere motivazioni sono state ripetute dai vari gruppi consiliari e cioè, la sua incapacità politica e amministrativa. La faccenda delle demolizioni è stata strumentalizzata dall’ex primo cittadino trasformando il suo fallimento politico in un cavallo di battaglia mediatico per acquisire visibilità politica a livello nazionale, dando un’immagine negativa alla città di Licata». Federico ribadisce che le demolizioni non sono merito del sindaco che «si è ritrovato sul tavolo un elenco di immobili abusivi da demolire, elenchi che non ha tirato fuori dal cassetto di sua iniziativa (allora sì che si sarebbe meritato l’appellativo di sindaco della legalità), ma a lui inviati dalla vera Istituzione che combatte l’illegalità nel nostro territorio cioè la Procura della Repubblica di Agrigento e le Forze dell’Ordine».

La vicenda di Licata, rilanciata mediaticamente a livello nazionale, si inscrive in verità in una situazione di conflittualità forte all’interno di un comune. Ragioni e motivazioni di tipo diverso che spesso si intersecano e coesistono. Forse proprio per questo, complice il caldo e la settimana ferragostana, sono pochi gli interventi pubblici ufficiali di gruppi politici e associazioni.

Ma essa apre anche uno squarcio sulla situazione politica in Sicilia. Difficile l’azione amministrativa, specie se si perseguono obiettivi che non si sposano con alcuni interessi diffusi. Interessi personali, non di rado, lontani dal “bene comune”. I sindaci, spesso, sono soli. Le risorse economiche sono ridotte al lumicino, le amministrazioni di Stato e Regione appaiono lontane. Il Movimento politico per l’Unità di Sicilia ha proposto di «creare una rete di amministratori locali delle tante città che vivono situazioni di abusivismo al fine di non lasciarli soli nelle difficili battaglie da affrontare».

La battaglia per la legalità, spesso al di là di tante dichiarazioni di facciata, è un percorso irto e pieno di ostacoli.

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