Separati in casa

Il Belgio sull’orlo della separazione?. Il titolo mi ha fatto scoppiare in una risata sonora. Poi mi sono reso conto, viaggiando in Europa, che mi si rifaceva sempre la stessa domanda. Un esperto nella materia, politologo dell’università di Lovanio, Luc Huyse, scriveva pochi giorni fa che di crisi acuta in tutto il Belgio se ne sente parlare solo lungo la rue de la Loi, dove si trovano il Parlamento e i ministeri, oltre che nelle redazioni dei giornali e nelle tivù. In effetti, paragonata alle grandi crisi del passato, manca completamente questa volta la mobilitazione delle masse. La crisi politica e istituzionale c’è, ma non ha fatto scendere in piazza la gente… fino a ieri. Perché questa crisi nella formazione del nuovo governo? Nel Nord da anni funge da merluzzetto un partito di estrema destra (che raccoglie fino al 30 per cento dei consensi in certe città) che agita la bandiera della separazione, ma che soprattutto sul tema dell’emigrazione ha posizioni fortemente populiste. Il problema numero uno per i partiti tradizionali (democristiani, socialisti e liberali) era dunque quello di fermarlo e ricuperare i moderati tra i suoi elettori, con un discorso più regionalista (in Italia si direbbe federalista). Nelle recenti elezioni di giugno questa manovra è riuscita e l’estrema destra è stata fermata. Nel Sud, invece, per la prima volta il partito liberale ha sorpassato quello socialista seppur di un soffio. Ma il fatto è che la coalizione dei vincitori (democristiani al Nord e liberali al Sud) anche con vari piccoli partiti aggregati non dispone dei due terzi necessari in Parlamento per attuare le riforme dello Stato auspicate soprattutto al Nord. I margini di manovra per un accordo tra i partiti di diversa ispirazioni del Nord e del Sud erano dunque strettissimi. Così oggi, dopo più di 160 giorni dalle elezioni, non abbiamo ancora un nuovo governo. Questa situazione è forse conseguenza, prima di tutto, di una strana struttura politica. In Belgio nessun partito è responsabile davanti a tutto il Paese delle sue posizioni: da decenni non esiste alcun partito nazionale, perché tutti i partiti sono responsabili solo davanti alla propria comunità linguistica. Non c’è dunque nessuno che sia obbligato a fare un discorso politico di tipo federale, e non verranno sanzionati per discorsi che non piacciono all’altra parte del Paese. Si sa bene, tuttavia, che dopo le elezioni si dovrà scendere a compromessi nei negoziati a livello federale; ma questo ulteriore passo, necessario questa volta, non è stato preparato bene, perché non ci si è preoccupati di pensarlo insieme già prima delle elezioni. Lo sforzo di battere l’estrema destra e attirare gli esitanti moderati ha assorbito la creatività dei partiti. E così oggi la crisi dura più a lungo del solito, anche perché la dinamica delle divergenti evoluzioni al Sud e al Nord gioca più che nel passato, per diversi motivi: i recenti scandali politico-finanziari nel Sud (a Charleroi soprattutto); la paura del povero Sud cui il ricco Nord non garantirà più i trasferimenti finanziari necessari; la promessa dei partiti del Nord agli elettori di ottenere più autonomia; e il Sud del Paese che teme tali rivendicazioni autonomistiche… Se la stampa e i media si sono buttati sull’affare con titoli spesso infelici, la stampa estera ha addirittura raggiunto livelli ridicoli per i belgi. Il Paese, in effetti, ha ancora un governo di transizione che funziona; l’economia sta meglio che mai, ma la percezione all’estero della situazione è diversa. La realtà è che nessuno dei partiti moderati vuole far saltare per aria il Belgio; tutti i leader politici lo dicono a chiare lettere. E l’11 novembre scorso una manifestazione pro-Belgio, per iniziativa di privati cittadini, ha messo insieme 35 mila manifestanti a Bruxelles. Ormai, la gente è stanca della situazione e si chiede come far scattare la tradizionale ricerca del compromesso alla belga. Qualcosa si muoverà ben presto, perché la maggioranza del Paese rimane favorevole ad un Belgio come l’attuale, seppur con sfumature sulle evoluzioni da compiere. Il dossier che ha bloccato per il momento la formazione del governo si riduce a poco: i diritti di qualche diecina di migliaia di cittadini nei comuni che circondano Bruxelles ancora sottomessi al regime linguistico delle Fiandre, che taluni vorrebbero invece sottoposti ad un regime bilingue come è per la capitale. Un dossier minore, ma emblematico delle diverse sensibilità in gioco. Siamo cioè di fronte all’incontro della cultura fiamminga, di tipo nordico, e di quella latina (in Belgio francofona), che hanno reazioni diametralmente opposte. Un fiammingo che entra in territorio vallone si sforzerà spontaneamente di adattarsi e adopererà la lingua delle regione che l’ospita, perché ha una sensibilità legata alla terra, al territorio. La cultura francofona è invece legata alla propria lingua, e un francofono si sente a casa dappertutto si possa parlare la sua lingua. La parte fiamminga esige perciò da chi trasloca nelle Fiandre un minimo di rispetto per il primato della lingua regionale. I francofoni, ma specialmente chi viene da Bruxelles, si adattano non senza fatica a questa sensibilità, anche perché tradizionalmente il francofono parla molto meno bene il neerlandese che non il fiammingo il francese. Ma sono altri i problemi più urgenti da trattare. La vera sfida sembra piuttosto l’integrazione dei numerosi immigrati islamici. Il Paese del compromesso riuscirà a trovare una soluzione al problema? L’esercizio della unità nella diversità ha funzionato altre volte; ora dura più del solito la ricerca della via giusta. La scommessa verte dunque sulla creatività e sul senso del compromesso: parola che qualche sociologo definisce unirsi senza confondersi e distinguersi senza separarsi. Il Belgio moderato non dispera dunque di trovare anche questa volta la buona soluzione. UN PAESE COMPLESSO Paese costruito sulla distinzione con l’Olanda nel 1830, il Belgio è una creazione dell’Europa post-napoleonica. Ora è uno Stato federale con tre regioni in parte autonome (le Fiandre con 6 milioni di abitanti, la Vallonia con 3 milioni di abitanti e Bruxelles con un milione di abitanti); e tre comunità linguistiche (i francofoni, con quasi 40 per cento, le Fiandre con appena più di 60 per cento della popolazione, e una piccola comunità di 65 mila germanofoni) che non coincidono completamente con le Regioni. Un Paese complesso dunque. Diviso da una frontiera linguistica tra Nord e Sud. La frontiera linguistica non è cambiata dai tempi degli ultimi romani, ma il Paese è stato più a lungo diviso in Ovest ed Est. La parte Ovest apparteneva al regno di Francia e la parte Est al Sacro Romano Impero.

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