Semplicemente Giusti

In questa Giornata della Memoria, per non dimenticare le vittime della Shoah, vogliamo narrarvi una piccola storia di provincia, che ha rischiato di essere dimenticata e che racconta del coraggio semplice di una famiglia della Val Tiberina che, per due anni, tra il 1942 e il 1943, ospitò e nascose nella propria casa, una famiglia di stranieri, ebrei slavi diretti al campo di internamento di Renicci, in provincia di Arezzo. Storia che sarebbe stata dimenticata se…

L’ottantenne Adelmo Massi, ex francescano poi arruolatosi in polizia, figlio dei coniugi Gonippo e Nova di Monterchi, in provincia di Arezzo, era tornato al suo paese natale con l’intenzione di consegnare le sue memorie nelle mani di Dina Guadagni, direttrice dei Musei civici di Monterchi, in provincia di Arezzo. Erano «notizie raccolte da chi le aveva vissute nel dolore e nella sofferenza», tra il 1890 e il 1945. Fatti sentiti raccontare tante volte da suo padre, ed altri vissuti “in prima persona”, che non voleva andassero perduti, ora che era avanti con gli anni. Ricevute queste carte, la direttrice pensò di custodirle gelosamente nell’archivio del suo museo, e che sarebbero state un altro documento importante per conservare tracce delle tradizioni e della storia locale. Non immaginava certo quanto sarebbe successo di lì a poco. Qualche tempo dopo, mentre si trovava intenta al suo lavoro, ricevette una telefonata dall’Istituto per la Memoria dei Martiri e degli Eroi dell’Olocausto Yad Vashem. Nella telefonata si chiedeva la sua collaborazione per la ricostruzione storica del salvataggio di una famiglia di ebrei, tali Lukac, avvenuta ad opera di un’altra famiglia, proprio i Massi di Monterchi. Fu così che, grazie alle memorie di Adelmo e di altre raccolte di lì a poco, si riuscì a ricostruire qualcosa di più di un frammento di storia locale.

Gonippo e Nova Massi avevano una proprietà agricola a Vicchio, una manciata di case in collina nei pressi del paese di Monterchi, lungo la Val Tiberina. Gonippo, classe 1882, era uomo di larghe vedute, assai stimato in paese, sia per le sue capacità imprenditoriali, che per la correttezza e l’onestà con cui svolgeva i suoi affari, in tempi in cui si siglavano ancora con una stretta di mano.

C’era la guerra in quell’inverno del 1942 e anche a Monterchi si era già vista passare bene. Non solo proclami via radio, alzabandiera o la raccolta degli oggetti preziosi e di rame per lo stato italiano ma carri armati che spuntavano da ogni dove, cannoni, bombardamenti, rappresaglie, saccheggi. L’ultima trovata era stata il campo d’internamento di Renicci, nel comune di Anghiari, a poco meno di quindici chilometri da casa che, aperto ad ottobre, contava già a dicembre 3800 detenuti, provenienti perlopiù dalla Jugoslavia, soprattutto dall’allora provincia di Lubiana. I prigionieri arrivavano in treno, a bordo di convogli “speciali”, e scendevano alla stazione di Anghiari. Fu in un mattino di quell’inverno, che la storia della famiglia Massi di Vicchio incrociò quella dei Lukac, di Lubiana.

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«Mio padre era molto altruista e generoso con tutti» – si legge tra gli scritti di Adelmo Massi – «una mattina, di buonora, attaccò le vacche al carro e andò alla Libbia per prelevare in un campo di raccolta, dei profughi che venivano dalla Jugoslavia, quattro famiglie di ebrei, con grande nostro rischio se fossimo stati scoperti dai tedeschi. Tre con cognome Lukac rimasero a casa mia e una da mia zia Concetta a Padonchia».

Adelmo continua il suo racconto descrivendo quegli stranieri che ospitarono in casa per quasi due anni: «Il signor Lukac era un signore molto distinto, ed era stato direttore della Banca di Lubiana. Mi ricordo che mio padre gli diceva di vestirsi un po’ trasandato, per non dare nell’occhio ai tedeschi. Aveva una figlia di nome Olga che parlava correntemente sette lingue, compreso il tedesco. Fu quello che in molte circostanze ci tolse dai guai, ammansendo col parlare i tedeschi che cercavano sempre il bestiame, e non trovandolo si arrabbiavano».

Alle memorie di Adelmo, si aggiunsero presto quelle di altri che ricordavano ancora la storia di quella famiglia di stranieri ospitata in paese, in particolare, quella di Iolanda Fonnesu Alberti, oggi novantenne ex ricercatrice dell’Istituto di Geografia dell’Università di Firenze, che si rese disponibile a scrivere la propria testimonianza: «Nell’estate dell’anno di guerra 1943, per motivi di studio, io conobbi e, per qualche mese, frequentai, una giovane straniera, la cosiddetta “signorina Oli”, unico suo cauto appellativo ricavato forse dal nome proprio Olga». Secondo gli scritti di Iolanda, l’arrivo di quegli stranieri a Vicchio non suscitò troppa curiosità nella popolazione locale, avvezza, da tempo a veder giungere, “segretamente e misteriosamente” da chissà dove, gruppi di sfollati: «Dal rifugio della frazione amministrativa di Vicchio di Monterchi, dove la sua famiglia era stata generosamente accolta e protetta dalla residente famiglia Massi, la “signorina Oli” usciva soltanto per inevitabili necessità e […] per venire ad impartire a mio fratello e a me lezioni di lingua inglese, lingua che l’avanzare delle truppe alleate verso lo sfondamento della Linea Gotica rendeva opportuna, quasi indispensabile. […]».

Confrontando gli scritti con i ricordi orali dei nipoti, si scopre così che tutti in paese sospettavano che quegli stranieri fossero ebrei ma che nessuno mai indagò. L’unico a palesare un tiepido dubbio fu il maresciallo locale, che in un paio di circostanze, tentò di far capitolare Gonippo chiedendogli apertamente: «Non saranno mica ebrei quelli che ospiti là?». Gonippo, candidamente, faceva spallucce rispondendogli: «Ebrei? Ma io la sera li sento bisbigliare le orazioni, come noialtri!».

Fu così che Gonippo e Nova riuscirono a salvare tutti i membri della famiglia Lukac. Con il passare del fronte, la “signorina Oli” fu assunta dalle truppe alleate come interprete e condotta a Roma. Lì, con la fine della guerra, un ufficiale irlandese le propose di seguirlo in patria, per occuparsi dei suoi figli e poter acquisire la cittadinanza irlandese. Così fece, e presto, riuscì a far giungere anche tutta la sua famiglia. Fu sempre Oli, una volta trasferitasi nel novello stato di Israele, a proporre i nomi di Gonippo e Nova allo Yad Vashem, perché venissero dichiarati “Giusti tra le nazioni”, riconoscimento per i non-ebrei che avevano rischiato la vita per salvare anche un solo ebreo durante la persecuzione nazista.

Il suo sogno si è realizzato il 15 gennaio scorso, anche se solo “in memoria” dei due coniugi di Monterchi. Anche Olga Lukac non ha fatto in tempo a vedere i risultati del suo lungo lavoro. Ancora nessuno sa con certezza come avvenne il primo contatto tra Gonippo e i Lukac: qualcuno dice su richiesta del parroco, altri per conoscenza pregressa, legata ai suoi affari. Fatto sta che, finalmente, dopo tanti anni, a Monterchi, i nipoti di Gonippo e Nova hanno incontrato un gruppo di discendenti dei Lukac di Lubiana, che oggi, grazie ai coniugi Massi, vivono numerosi in Inghilterra, Germania e Canada.

 

 

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