Cile: Sebastián Piñera di nuovo presidente

L’industriale di destra ottiene il suo secondo mandato con un vantaggio di 9 punti sul candidato del centrosinistra. Il suo discorso ha avuto una sterzata al centro. Ha votato la metà degli aventi diritto
Sebastián Piñera

Sebastián Piñera è nuovamente presidente del Cile. Nel secondo turno, disputato ieri, il candidato della destra ha vinto con un buon vantaggio, il 54,5% dei voti, nei confronti del candidato del centrosinistra, Alejandro Guiller, che ha superato di poco il 45,4% delle preferenze. I votanti sono stati 7 milioni, poco meno della metà degli aventi diritto.

Un dato inquietante per una politica che non riesce a sedurre quanti si sentono lontani, delusi o diffidenti, in particolare i giovani. «Non andrò a votare – confessava un tassista in settimana –. Ho fatto tutto da solo, nessuno mi ha aiutato e, da semplice guidatore, ora ho un’auto mia e lavoro per conto proprio». Individualismo? Anche. Quello cileno è uno dei sistemi istituzionali della regione meno propenso al sociale ed alla dimensione dei beni comuni. Uno schema imposto da una costituzione varata in tempi di dittatura ed improntata alla logica della competenza di mercato, anche sui temi più sociali.

Piñera è un industriale, considerato il proprietario di una delle maggiori fortune del Paese dal passato non sempre trasparente o ai limiti della legalità e della morale. Già presidente dal 2010 al 2013, è il conduttore di Renovación Nacional, un gruppo di destra ma che si è sganciato dai settori occupati da coloro che sono convinti della “grande opera” svolta da Augusto Pinochet. È stato affiancato dalla destra più estrema, ma anche da settori più prossimi al centro, spesso non sempre in buoni rapporti con lui.

Arriva con un programma che si propone di migliorare il lavoro svolto dalla presidente uscente, Michelle Bachelet, che durante il suo mandato ha messo in moto riforme sostanziali del Paese: l’adozione di un sistema elettorale proporzionale, l’introduzione della gratuità nel sistema della scuola d’obbligo, di cui appena il 35% è pubblico ed il restante è in mano a privati. Più della metà sono scuole private finanziate dallo Stato. La Bachelet è riuscita ad introdurre la gratuità parziale anche nelle università pubbliche, per i settori meno abbienti. Il tutto sostenuto da una riforma delle imposte che ha consentito di finanziare sostanzialmente queste iniziative. In questo senso, il discorso di Piñera, che ha sempre osteggiato la gratuità scolastica, per considerare l’istruzione un “bene commerciale”, ha fatto più di una volta l’occhiolino al centro dell’elettorato sensibile ai temi sociali e restio ad appoggiare una coalizione della quale è parte anche il Partito Comunista, ancora legato a una lettura della realtà sociale risalente agli anni ‘70. Questa svolta al centro sta anche indicando che non è semplice far marcia indietro in merito a certe conquiste sociali.

Quello della Bachelet è stato un governo poco brillante, che ha entusiasmato poco, con una popolarità ridotta a meno del 30%. Nel 2010 concluse il suo primo mandato con più dell’80% di popolarità. Guiller, da parte sua, ha entusiasmato ancora meno, come candidato non unico del centrosinistra, mentre a sinistra è sorto un nuovo movimento, il Frente Amplio. Ed è molto probabile che la sconfitta di Guiller sia da attribuire alla decisione di questo gruppo di non appoggiarlo apertamente. I suoi dirigenti hanno lasciato liberi i propri elettori e solo all’ultimo momento hanno cominciato a dire che avrebbero votato per lui.

La sconfitta della sinistra è cocente. Anche perché è da verificare se il settore di Piñera non riuscirà a costruire una coalizione di centrodestra più aperta al riformismo ma chiusa ai settori di una sinistra movimentista, spesso ancora priva di un progetto concreto capace di convincere della sua fattibilità, al di là degli slogan, a volte, antisistemici. I settori industriali saranno i primi a respirare, sollevati. Non ci sarebbe da meravigliarsi se fin da domani i mercati iniziassero a registrare una ripresa e gli investimenti a uscire dall’attuale fase di stanca. Ma che le cose vadano bene ad alcuni, e di certo andranno bene, non significa che andranno bene a tutti. La grande disuguaglianza che patisce il Paese è una frattura ben lungi dall’essere ridotta. Probabilmente la stragrande maggioranza degli assenteisti di questa domenica fa parte dei settori ai quali le cose ancora non vanno bene. Cosa pensino e come vedano il Paese, questo ancora nessuno lo sa.

 

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