Se cresce il conflitto sociale

La decisione di Federmeccanica di scindere il contratto nazionale e un mondo sindacale diviso. La necessità del dialogo.
fiat melfi

È ormai stata registrata già dallo scorso 19 luglio la nuova società della Fiat che gestirà lo stabilimento di Pomigliano d’Arco secondo le regole accettate da circa il 60 per cento degli attuali dipendenti del sito produttivo campano. Si chiama "Fabbrica Italia Pomigliano" e ha come presidente l’attuale amministratore del gruppo torinese, Sergio Marchionne che finora ha deciso di non iscrivere la nuova azienda alla “Federazione Sindacale dell’Industria Metalmeccanica Italiana” (Federmeccanica) e cioè all’organizzazione degli imprenditori del settore che aderiscono a Confindustria.

 

L’ostacolo è l’esistenza del contratto collettivo nazionale di lavoro sottoscritto nel 2008 tra datori di lavoro e tutti i maggiori sindacati con approvazione e referendum dei lavoratori. Accordo che scade il 31 dicembre del 2011 e rappresenta la fonte cui può appellarsi la Fiom Cgil per contestare l’efficacia dell’accordo di Pomigliano che è destinato ad essere operativo e decollare nel 2012. Anno che una certa interpretazione del calendario vede associato alla fine del mondo. Sicuramente di un certo tipo di mondo e comunque dello stabilimento siciliano della Fiat a Termini Imerese.

 

La Federmeccanica ha così compiuto un atto dovuto per non contrastare l’indirizzo delle nuove relazioni sindacali imposte dalle regole della globalizzazione, secondo la tesi della maggiore azienda manifatturiera italiana. Si tratta di un “recesso” dal contratto nazionale e non solo di una disdetta: non è una questione da poco. Nel primo caso vuol dire che l’accordo termina irrevocabilmente il 2011; in caso di disdetta rimarrebbe in vigore fino nuovo accordo. Sarebbe stata azzerata, quindi, ogni possibilità giuridica di opposizione a tutte le variazioni che, territorio per territorio, azienda per azienda, verranno concluse dalle imprese con i singoli sindacati. Eccezione già prevista da un accordo siglato nel 2009 da Federmeccanica e le sigle sindacali diverse dalla Fiom, che rimane, ancora, la maggiore organizzazione dei metalmeccanici anche, stranamente, in territori dove politicamente prevale la Lega. Il negoziato per la definizione del nuovo contratto nazionale partirà il prossimo 15 settembre solo con Cisl, Uil, Ugl, Fimsic e tutti gli altri minori.

 

Si prepara un clima di conflittualità molto intensa in diverse realtà aziendali italiane. Gli osservatori che invitavano a considerare il caso Pomigliano come un’eccezione, possono ora constatare che si tratta di un modello che fa da guida e finisce per imporsi. Dopo il discorso di Marchionne al meeting di Rimini, l’ex amministratore della Fiat, Cesare Romiti, che viene riconosciuto come il vincitore del braccio di ferro con i rappresentanti dei lavoratori negli anni Ottanta, ha tenuto a precisare che durante la sua gestione «non ci siamo mai sognati di dividere il sindacato, o anche solo di provarci. Il sindacato lo puoi battere, non dividere.

 

Dividere il sindacato è un errore grave, perché il sindacato escluso ti tormenterà nelle fabbriche; a maggior ragione se è il sindacato più grande. Ed è proprio quel che sta accadendo… È sbagliato rinunciare a parlarsi, cercare accordi separati, lasciar fuori qualcuno». Parole insolite da colui che non è definito certo una colomba delle relazioni industriali e che stavolta ha invitato a non alimentare le divisioni, ma a placarle. Affermazioni in cui è possibile vedere la polemica in atto tra pezzi della classe dirigente italiana di fronte ad una crisi dove i piccoli segnali di ripresa, anche lievi, non portano comunque nuova occupazione ( growing jobless, la chiamano gli americani). 

 

Di certo una spaccatura si è avuta nel direttivo Fiom dell’8 settembre tra la maggioranza, pari all’80 per cento, che ha deciso di accettare il conflitto con l’indizione di 4 ore di sciopero e la minoranza riformista del restante 20 per cento che chiede di assumersi «l’onere di una proposta che riapra a tutto campo i giochi sul contratto nazionale o sulla contrattazione in genere». Frattura ancora più eclatante con la contestazione del centro sociale Askatasuna (in basco “libertà”) nei confronti del segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni invitato alla festa nazionale del Pd. Ovviamente non si tratta di un contrasto tra sigle sindacali, la Fiom ha condannato il gesto, ma la risposta del mondo antagonista alle posizioni del sindacalista che esprime una condivisone di strategia con il ministro del lavoro Sacconi, la dirigenza di Confindustria e Fiat, fino agli elogi pubblici rivolti a Bonanni da parte di Marchionne nel suo discorso al meeting di Comunione e Liberazione.

 

Un‘azione, con tanto di razzo fumogeno, che ha impedito lo svolgersi di un dibattito che, invece, sarebbe stato interessante affrontare in quella Torino che è stata il luogo dell’unità sindacale dei metalmeccanici negli anni 70. L’origine stessa del nome “sindacato” vuol dire “insieme per la giustizia”. L’evidente rischio è quindi quello di ridursi a parlare di ordine pubblico e non di come uscire “insieme” dalla crisi. 

 

Ma il clima così acceso e imprevedibile potrebbe, invece, aprire le porte a una riorganizzazione delle norme di rappresentanza dei lavoratori.

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