Scuola, un mese di fuoco

È iniziato il concorsone per 165 mila aspiranti professori. Dopo la prima prova, il 2 maggio sarà la volta delle discipline letterarie. Tra incertezze burocratiche, paura di non farcela, bilanci di una vita precaria, le considerazioni dolci-amare di una delle candidate
concorso

La prima giornata di questo mese di fuoco per tanti giovani italiani (ahimè, non così tanto giovani visto che l’età media dei candidati è di 38 anni) è ormai passata. In rete si assiste da un lato ad un respiro di sollievo collettivo perché le tracce “erano più facili del previsto”, come dicono in tanti, ma al tempo stesso un po’ di rammarico per aver sprecato tanto tempo su una grande vastità di argomenti generali di cui non si trova nemmeno l’ombra.

 

Nella mia mente, dopo un primo giro di lettura delle notizie sui siti caldi, scelgo una linea prudente. Prima di chiudere il capitolo sulle cosiddette Avvertenze Generali aspettiamo lunedì. Il 2 maggio infatti ci sarà uno degli ambiti più imponenti, quello delle discipline letterarie. Vediamo come saranno le tracce quel giorno prima di rilassarci.

 

Tutto sommato, però, un piccolo sospiro di sollievo ammetto di averlo fatto. I testi che girano di questa prima prova li definirei anch’io “facili”. Da un paio di mesi vivo giorno dopo giorno l’avvicinarsi del fatidico giorno della prova scritta. La mia sarà il 10 maggio. Classe A28 – matematica e scienze alla scuola media. La mia quotidianità non può prescindere da quella data. Anche le minime cose ormai ruotano attorno a quel giorno.

 

Io mi ritengo fortunata rispetto a tanti altri, perché quest'anno lavoro – ovviamente da precaria, con una supplenza fino a giugno – su un part-time verticale e questo mi consente di avere ben tre giorni liberi della settimana per studiare (non dovrò nemmeno prendere un giorno di ferie per andare a sostenere la prova!). Il tempo libero da dedicare al concorso è stato il mio primo pensiero, ovviamente, quando a novembre ho avuto questa supplenza.

 

Nonostante questo, la mia positività iniziale è stata messa a dura prova. Superare le incertezze continue di date, di regole, di modalità, di contenuti, ti fa sperimentare che il concorso prevede delle prove non formalizzate che forse sono più difficili da affrontare di quelle otto domande che ci troveremo davanti quel giorno.

 

Per farvi ridere un po’, vi dirò che una di queste prove non formalizzate è stata riuscire a pagare i dieci euro di “diritti di segreteria”. Quando dopo aver provato on-line, dopo aver girato diversi uffici postali, dopo essere andata in una banca qualunque e aver preso tempo per non pagare un ammontare di commissioni più alto dell'importo del bonifico, mi sono decisa a tentare l’ultima strada, ho chiamato la filiale della Banca d’Italia dove andavano a finire i soldi. 

 

Ero già abbastanza arrabbiata con tutto l’universo burocratico italiano, ma una gentilissima impiegata ha messo il sole nella mia giornata rispondendomi in un caldo accento romano: “Ah signorì, se riuscite a fa 'sto bonifico metà del concorso l’avete già passato”. Dopo una comune risata che ha disteso gli animi, mi ha dato due dritte su come fare e tutto è bene quel che finisce bene. Poi, però, c'è stato un giro di boa non indifferente da doppiare. Questa volta non burocratico.

 

È stato un vero e proprio faccia a faccia con me stessa e con la possibilità di non farcela, pensare di sperimentare un ennesimo fallimento ritrovandomi a trentasei anni a dover inventare di nuovo un futuro. Quelli forse sono stati i giorni più duri.

 

Ho dovuto scavare ben in profondità nel mio animo per riuscire a trovare ancora delle risorse per non arrendermi. Infatti, dopo un dottorato che non ha aperto prospettive, dopo un’ammissione al corso abilitante superata solo al secondo tentativo, dopo un corso di Tirocinio Formativo delirante compresso in quattro mesi e organizzato in modo pessimo, dopo aver speso una quantità di soldi "anticostituzionale" per avere l’abilitazione, è dura pensare alla possibilità di ritrovarsi di nuovo a piedi. Ma poi anche quei giorni e quei pensieri sono passati.

 

Complice forse il sole primaverile, ho ritrovato la serenità di affrontare con filosofia questo ennesimo esame (è proprio vero che gli esami non finiscono mai!) studiando in ogni momento libero e non. Ormai la mia frase chiave è “dopo il dieci maggio”. Tutto sommato – mi sono detta – è un intervallo ragionevole di tempo, per cui si può rimandare il resto della “vita” a dopo quel giorno.

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