Scontro sul #decreto Salvini   

Approvato all’unanimità dal governo Lega M5S e annunciato come una vittoria della linea del ministero degli interni, il provvedimento suscita forti reazioni negative, dall’Anci a parte del mondo associativo

Il decreto Salvini su immigrazione e sicurezza è stato approvato con il voto unanime del Consiglio dei ministri e l’evidente soddisfazione del ministro degli interni che ha posato sorridente per i fotografi assieme al presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

I malumori degli alleati pentastellati restano sopiti nell’esternazione di singoli deputati e senatori ma non sono emersi nell’ambito dell’esecutivo. Il testo «non è blindato» ha detto lo stesso Salvini facendo accenno ai miglioramenti possibili in sede di conversione in legge. L’intera materia ha ovviamente bisogno di approfondimento adeguato nel merito. Sta di fatto che l’impianto è solidamente coerente con il programma leghista che dovrebbe essere il socio di minoranza della coalizione governativa ma ha assunto, ormai, un forte protagonismo confermato dai sondaggi elettorali.

Il governo, dopo aver reso praticamente impossibile l’operazione di salvataggio in mare dei migranti da parte delle navi delle Ong, accusate tra l’altro di collusione con gli scafisti, con il decreto Salvini arriva ad abrogare il permesso di soggiorno per motivi umanitari, eliminando «l’attuale esercizio discrezionale nella concessione, con l’introduzione di una tipizzazione dei casi» ridotti a «sei permessi speciali»: vittime di grave sfruttamento, motivi di salute, violenza domestica, calamità nel Paese d’origine, cure mediche e atti di particolare valore civile.

Allo stesso tempo viene ridotto il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) riservandolo solo ai titolari di protezione internazionale e ai minori non accompagnati. Lo Sprar è il sistema costituito dalla rete degli enti locali per la realizzazione di progetti di accoglienza integrata sui territori.

Per i restanti richiedenti asilo, perciò, saranno previsti solo i Cas (Centri di accoglienza secondaria) e i Cara (Centri di accoglienza per richiedenti asilo).

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Nel decreto si prevede, inoltre, l’aumento della durata massima di permanenza nei Centri per il rimpatrio (Cpr), destinati a crescere di numero, che passa da 3 a 6 mesi, con l’intenzione di facilitare l’espulsione degli irregolari. Sono stanziati, infatti, fino al 2020, due milioni di euro per assicurare l’effettività dell’esecuzione dei provvedimenti di espulsione.

Il testo governativo aumenta la possibilità di negare o revocare la protezione internazionale dopo una condanna di primo grado per una serie di gravi reati mentre prevede anche la revoca della cittadinanza acquisita dagli stranieri in caso di condanna in via definitiva per reati di terrorismo.

Le critiche più dure verso il decreto riguardano ovviamente le misure relative all’accoglienza e integrazione. Ad esempio, Matteo Biffoni, sindaco di Prato e delegato Anci all’Immigrazione e alle politiche per l’integrazione, afferma che «il governo decide di ridimensionare il sistema di accoglienza dei Comuni a favore del sistema emergenziale dei centri di prima accoglienza».

Secondo Biffoni «sono, infatti, proprio i centri come i Cas ad aver creato più malcontento tra la popolazione, per l’eccessivo impatto sulle comunità e la mancanza di adeguati percorsi di integrazione. Non comprendiamo il senso di questa scelta».

Anche il segretario uscente della Cei, mons. Nunzio Galantino, ha detto che «gli Sprar sono l’unico sistema pubblico di accoglienza che funziona. Dove sono tenuti bene, e sono la stragrande maggioranza, sono istituzioni straordinarie perché il modo in cui sono stati concepiti dà garanzie».

Con il decreto Salvini, secondo il Centro Astalli per il soccorso ai rifugiati promosso dai gesuiti, «viene meno il principio fondamentale secondo cui la riuscita di un percorso di integrazione debba partire dalla prima accoglienza, come chiaramente espresso anche nel Piano Integrazione per i rifugiati del Ministero dell’interno». Un decreto destinato a creare insicurezza secondo padre Camillo Ripamonti perché il potenziamento dei grandi centri per richiedenti asilo non prevede alcun coinvolgimento delle amministrazioni locali provocando resistenze e tensioni sociali.

Il rischio è quello di «aumentare zone grigie, non regolamentate dalla legge, e rendere meno accessibili e più complicati i percorsi di legalità» con il risultato di contribuire «a rendere il Paese meno sicuro e più fragile».

In generale, poi, è proprio l’accostamento tra sicurezza e migranti ad essere contestato perché reitera «la nefasta equazione che assimila i problemi di sicurezza interna, come criminalità organizzata e terrorismo, al tema della gestione delle migrazioni». Dello stesso avviso Filippo Miraglia dell’Arci, secondo il quale si persiste nella convinzione che «sottrarre diritti al gruppo più fragile della nostra società, i rifugiati e richiedenti asilo, possa in qualche modo risolvere i problemi del Paese» mentre «ridurre lo spazio dei diritti per un gruppo, una minoranza, oltre ad essere contrario ai principi della democrazia e della nostra Costituzione, alimenta il conflitto sociale e peggiora la qualità delle relazioni nei territori».

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Di tutt’altro avviso ovviamente Salvini che comunica tramite i social annunciando la svolta avvenuta con toni trionfalistici. Il decreto che porta il suo nome è «un passo in avanti per rendere l’Italia più sicura. Per combattere con più forza mafiosi e scafisti, per ridurre i costi di un’immigrazione esagerata, per espellere più velocemente delinquenti e finti profughi, per togliere la cittadinanza ai terroristi, per dare più poteri alle Forze dell’Ordine. Dalle parole ai fatti, io vado avanti!».

Viva attenzione si presta ai passi che deciderà di compiere il presidente della Repubblica Sergio Mattarella per la funzione istituzionale di garante della Costituzione che è chiamato a svolgere in questa fase complessa della storia repubblicana del dopoguerra.

Episodi come la recente aggressione squadrista da parte dell’estrema destra subita da alcuni manifestanti antirazzisti a Bari non possono che generare ulteriori preoccupazioni.

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