Scienziati terremoti e resilienza

Polemiche dopo la sentenza di assoluzione degli scienziati della Commissione Grandi Rischi che non aveva previsto il terremoto dell’Aquila del 2009. L’aumento del rischio nel nostro Paese. L’esempio virtuoso delle nazioni abituate a terremoti frequenti
Terremoto a l'Aquila

«Vergogna, vergogna». «Ce li hanno uccisi un’altra volta». Queste le parole gridate dal pubblico subito dopo la lettura della sentenza della Corte di Appello dell’Aquila, che assolve gli scienziati condannati in primo grado per il terremoto del 6 aprile 2009. Omicidio colposo era l’accusa pendente sui componenti della Commissione Grandi Rischi che, riunita d’urgenza, non aveva previsto il terremoto, anzi in un comunicato aveva dichiarato che non c’era pericolo.

In attesa delle motivazioni della sentenza, sembra che la Corte di Appello abbia voluto separare molto nettamente le responsabilità degli scienziati, i quali come consulenti forniscono delle mappe di rischio, da quelle dei responsabili della Protezione Civile che, sulla base di quelle mappe, devono decidere se e come allertare la popolazione. Infatti l’unico componente della Commissione Grandi Rischi condannato anche in appello è De Bernardinis, ex numero 2 della Protezione Civile. In più, anche il suo responsabile all’epoca, Bertolaso, è indagato in un processo parallelo per aver definito quella riunione «un’operazione mediatica».

È possibile prevedere i terremoti? No. Esiste il rischio zero, cioè la possibilità di eliminare del tutto il pericolo? No. La scienza è onnipotente? No. Esiste una responsabilità di chi comunica con la popolazione? Si. Esiste una responsabilità di chi definisce e controlla l’applicazione delle regole di costruzione per la prevenzione (possibile) del rischio? Si.

Sulla base di queste assunzioni, vediamo come si è mosso finora il nostro Paese:

·         4 anni fa ha fatto il giro del mondo la notizia stupefacente che, per la prima volta nella storia, in Italia un tribunale aveva condannato per omicidio gli scienziati incaricati di valutare il rischio sismico relativo ad un terremoto che nessuno poteva prevedere

·         Gli esperti sottolineano che nel nostro Paese il rischio, per eventi atmosferici, sismici e in generale collegati al territorio, è in continuo aumento, quindi va gestito non dopo i disastri, ma prima

·         Tra gli addetti ai lavori finora hanno abbondato polemiche e scarica barile, entrambi amplificati dai media che amano la caccia alle streghe e al colpevole a tutti i costi

·         Non esiste un piano integrato (e condiviso da tutte le amministrazioni) di gestione del territorio

·         Non si è costruita la cosiddetta “resilienza”, cioè la capacità, ormai collaudata in paesi come il Giappone abituati ai terremoti, di prevenire e reagire in modo tempestivo ed efficace ai disastri naturali. Sapendo che evitarli totalmente è impossibile, ma ridurne le conseguenze negative è possibile. Per aumentare la resilienza serve analizzare ogni volta quello che non ha funzionato, rivedendo di conseguenza le procedure di valutazione del rischio, le modalità di comunicazione alla popolazione, le diverse responsabilità di consulenti scientifici, amministratori, costruttori e Protezione Civile. A livello europeo (e Ocse) per fortuna si stanno cercando di definire regole comuni.

·         La costruzione della resilienza non può essere fatta a caldo, sotto l’ondata emotiva del disastro.

Detto questo, hanno ragione i parenti delle vittime ad arrabbiarsi? Forse si. Ma dovrebbero arrabbiarsi non per l’assoluzione degli scienziati, bensì perché in Italia non esistono ancora regole efficaci per la gestione rispettosa del territorio, del suolo e del paesaggio, così come procedure chiare e vincolanti di prevenzione dei rischi. Come ha recentemente affermato il papa: «Dio perdona gli uomini talvolta, la natura non perdona mai chi non si prende cura di essa».

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