Schwazer e quel torbido dubbio

Il marciatore azzurro è risultato, ancora una volta, positivo ai test antidoping: è una notizia che crea sgomento nel mondo dello sport italiano, ma non solo
Schwazer

Il nome di Schwazer, già legato a quei pesantissimi 3 anni e nove mesi di squalifica rimediati nel 2012, stavolta appare “sporcato” in seguito ai controlli eseguiti ad una sua provetta il 12 maggio scorso, qualche giorno dopo il trionfo nella 50 km al Mondiale per Nazioni di Roma.

 

I dubbi restano, però: la stessa provetta era già stata analizzata il primo gennaio a Vipiteno in un controllo disposto dalla federazione mondiale di atletica leggera e per il 31enne altoatesino, all’epoca ancora ufficialmente atleta squalificato, aveva dato esito negativo.

Ritestata questa volta, non solo ha dato esito positivo, ma addirittura secondo un tasso di testosterone undici volte superiore al consentito. Se la notizia fosse confermata, il nostro rinuncerà non solo alle prossime Olimpiadi a Rio, ma probabilmente alla credibilità tentata di ricostruire a fatica attraverso tutto il lavoro di riabilitazione svolto fino ad oggi, rischiando la radiazione a vita dallo sport.

 

Tra tanti dubbi, una certezza: da aprile dello scorso anno scorso Schwazer si è affidato il paladino della lotta al doping, Sandro Donati. Nella conferenza stampa tenuta nel tardo pomeriggio di mercoledì 22 giugno all’hotel Laurin di Bolzano, il marciatore azzurro ha gridato al complotto, respingendo ogni accusa: «Qualcuno non vuole che io vada alle Olimpiadi, i tempi sono stretti, ma io andrò fino in fondo per chiarire tutto. Come 4 anni fa – si difende – sono qui a metterci la faccia, ma oggi non ci saranno scuse perché non ho commesso alcun errore: allora ho sbagliato, stavolta no. Da un anno e mezzo con tanta fatica sto facendo di tutto con Sandro per dimostrare che il mio ritorno sia pulito – continua – È un incubo, la peggior cosa che mi poteva succedere ma giuro che si andrà fino in fondo».

 

Perché? «Perché Alex?» , dovremmo chiedere, se fosse recidivo. Ma davvero un atleta penalizzato rispetto alla sua più grande passione per quasi 4 anni ricascherebbe nel torbido vizio? E se invece, di torbido, ci fosse davvero qualche complotto? In questo caso delle due l’una. Intanto le dichiarazioni del suo legale, l’avvocato Gerhard Brandstätter, fanno presagire una battaglia legale che possa scongiurare al suo assistito la rinuncia alle Olimpiadi: «Faremo una denuncia contro ignoti sperando che questo ‘ignoti’ si possa dissipare. Alex spera e confida ancora di poter andare ai Giochi siamo qui per questo perché non ha nulla da rimproverarsi in questa vicenda», le sue parole. Tutto questo, neanche a farlo apposta (forse), mentre nei giardini del Quirinale si teneva la cerimonia della consegna del tricolore agli alfieri azzurri, Federica Pellegrini e Martina Caironi, portabandiera a Rio per olimpiadi e paraolimpiadi.

 

Immancabili in quel contesto le reazioni dal mondo dello sport italiano, a cominciare dal numero uno del Coni Giovanni Malagò, che si pronuncia comprensibilmente su tutto il movimento nazionale: «Il nostro mondo è variegato, complesso e numericamente importante. Siamo 11 milioni di tesserati, c'è la punta del movimento come l’amatore dilettante. Chiaro che quando ci sono atleti così importanti, su una recidiva, fa fragore. Nell’arco di 365 giorni – ha spiegato a margine della cerimonia – siamo abituati ad avere momenti esaltanti e momenti in cui ci interroghiamo anche dei perché di certe notizie, che sono così brutte, che spiacciono per non dire rovinano tutto il contesto. Dico solo – ha concluso, – per un fatto di buonsenso, che oggi è la festa del tricolore, dell’Italia bella che deve andare a Rio e che ci rende orgogliosi. Per il resto, non voglio dare alcun tipo di giudizio perché nessuno sa veramente la situazione qual è. Aspettiamo qualche ora, ci aggiorniamo magari già domani. Oggi dedichiamo le attenzioni delle portabandiera e di tutto il mondo che rappresentano».

 

Intanto proprio al Quirinale gli ispettori della IAAF (federazione internazionale di atletica), presentatisi per effettuare un controllo antidoping a sorpresa sulla marciatrice Elisa Rigaudo, non venivano ammessi nel Palazzo. «Non avevano i titoli per entrare», il secco commento del Quirinale.

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