Scelte necessarie e impopolari sui campi nomadi

La Commissione straordinaria per i diritti umani del Senato ha approvato all’unanimità il Rapporto sulla condizione di rom, sinti e caminanti in Italia. Prospettate soluzioni ragionevoli da attuare
Incendio campo nomadi

Si poteva evitare, probabilmente. Il rogo che ha carbonizzato i quattro bambini in un campo abusivo di Roma è avvenuto in una città che conta tre milioni di abitanti effettivi, con circa sette mila persone che vivono in un centinaio di campi per nomadi, di cui solo sette sono villaggi autorizzati mentre gli altri sono distribuiti tra 14 campi «tollerati» e ben 80 abusivi. Per una legge non scritta, e perciò ferrea nella sua applicazione in ogni latitudine geografica, sono accampamenti che non sorgono nelle vicinanze dei quartieri residenziali dei benestanti.

 

Per restare a Roma, si incontrano questi campi nella zona già compromessa di Tor Bella Monaca piuttosto che all’Olgiata. Non è perciò strano che i sondaggi d’opinione riportino il parere di circa il 35 per cento degli intervistati, che sovrastima la consistenza del numero degli zingari credendo che siano almeno due milioni in Italia. Anche se molto visibili e riconoscibili, sono invece una minoranza estrema: lo 0,2 per cento della popolazione, 170 mila in tutto. Una delle più basse percentuali in Europa.

 

Sono numeri molto interessanti, forniti dal Rapporto conclusivo dell’indagine sulla condizione di rom, sinti e caminanti in Italia, frutto del lavoro della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato. 

Il Rapporto è stato approvato all’unanimità dalla Camera alta del Parlamento il 9 febbraio, pochi giorni dopo l’incendio della baracca avvenuto domenica 6 febbraio, giornata in cui la Chiesa italiana celebrava la vita da accogliere. E da custodire.

 

Primo conoscere e ricordare 

La novità della Commissione diritti umani, presieduta da Pietro Marcenaro, comincia già dal metodo: arrivare ad una «conoscenza condivisa per arrivare ad un confronto costruttivo». E qual è il primo elemento che emerge? La mancanza di un piano nazionale sulla questione rom e sinti che non permette perciò di poter utilizzare quelle risorse europee che esistono e sono disponibili per sostenere un piano efficace di integrazione.  

 

Occorre perciò, secondo la Commissione, la costituzione di «una task force nazionale al servizio delle istituzioni locali, delle organizzazioni non governative e delle rappresentanze delle comunità nomadi», per arrivare a soluzioni pratiche e condivise. Si parte intanto da atti di riconoscimento importanti e finora tralasciati: inserire il genocidio degli zingari tra quelli che vengono ricordati nel Giorno della Memoria del 27 gennaio e considerare l’esistenza della lingua “romanes” tra le minoranze linguistiche italiane.

 

Chiudere i campi

Sul piano delle decisioni pratiche il rapporto è molto esplicito: occorre chiudere gradualmente tutti i campi nomadi esistenti che sono un’eccezione italiana nel panorama europeo e rappresentano «realtà incompatibili con qualsiasi progetto di inclusione e integrazione, poiché si riproducono quelle condizioni di crudele emarginazione i cui effetti si riversano nella vita delle città». La Commissione propone perciò soluzioni abitative diverse, facendo riferimento ad esperienze positive esistenti e sperimentate in altri Paesi, come la Spagna dove i gitani raggiungono un numero stimato di 800 mila persone. Si continua ad utilizzare il termine “nomadi” per definire rom e sinti, che in Europa sono prevalentemente sedentari. Solo il 2-3 per cento sono quelli che viaggiano in carovana. I regimi comunisti dell’Est li avevano costretti alla stabilità e quando la guerra nell’ex Yugoslavia li ha costretti all’esodo, sono stati alloggiati in campi di emergenza senza fognature, luce e acqua corrente: «si tratta di due 2-3 generazioni che sono nate e vissute in luoghi non molto dissimili dalle discariche».  

 

Scuola e mediazione culturale. Investimenti e non un costo 

Una buona pratica riconosciuta da tutti, anche se non adeguatamente finanziata, è quella portata avanti con continuità dalla Comunità di sant’Egidio che fa leva sulla scuola per prevenire rovinosi handicap culturali. E coinvolge nei percorsi educativi le stesse giovani madri di una comunità, dove ben il 60 per cento è costituito da minori di 18 anni e ben il 47 per cento riguarda solo la fascia dai 6 ai 14 anni. Numeri che mettono in evidenza, tra l’altro, una ridotta aspettativa di vita: secondo un’indagine della Croce rossa italiana solo il 2,8 per cento degli zingari supera i 60 anni di età.

 

Infine il Rapporto affronta la questione più difficile: l’inserimento nel mondo del lavoro potrebbe rendere più incentivanti e dignitose certe attività già praticate nella comunità, come quelle di recupero e riuso dei materiali, che già contribuiscono al reddito e alla sopravvivenza delle famiglie. Significativi investimenti, destinati a produrre elevati risparmi nel campo dell’assistenza e della sicurezza, andrebbero perciò riservati alle figure dei mediatori culturali, proprio per favorire la partecipazione diretta dei vari soggetti coinvolti, «interlocutori necessari» anche se attraversati «da divisioni e conflitti».

 

La Commissione diritti umani, che ha viaggiato molto nel continente europeo alla ricerca di soluzioni, sa che bisogna sempre procedere per sperimentazione, imparando dagli errori, e che la questione rom è tra le «più impopolari con cui misurarsi».

 

Rimane, di fondo, l’interrogativo che lo stesso Benedetto XVI si è posto domenica 13 febbraio affacciandosi su piazza san Pietro: quella baracca bruciata «impone di domandarci se una società più solidale e fraterna, più coerente nell’amore, cioè più cristiana, non avrebbe potuto evitare tale tragico fatto». Una domanda che vale per tanti avvenimenti dolorosi, più o meno noti, che avvengono quotidianamente nelle nostre città.   

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