Scarti di identità , Box :Prima della pensione

Gli spettacoli di Remondi e Caporossi sono sempre allegorie spiazzanti, visionarie e poetiche, un impeccabile microcosmo beckettiano che punta alla meticolosa trasfigurazione simbolica dei gesti di una stralunata quotidianità. Ed è sempre un rito scandito da oggetti emblematici, come il bidone della spazzatura che campeggia nel nuovo spettacolo Scarto. Il tempo come sentimento è il motivo instillato nello spettacolo che si ispira al poemetto Canto alla durata di Peter Handke: …E mi venne così da descrivere la sensazione della durata come il momento in cui ci si mette in ascolto, in cui ci si raccoglie in sé stessi, in cui ci si sente avvolgere… Da un sole in più, da un vento fresco, da un delicato accordo senza suono in cui tutte le dissonanze si compongono e si fondono insieme. Lo spettacolo, più che in altri, sembra voler affidare alle parole la salvezza di un mondo che si (ci) consuma. Proprio come tutte le cose che usiamo e poi scartiamo e buttiamo. Da quella totemica pattumiera metropolitana al centro della scena, sbuca (e infine vi ritorna) l’omi- no parlante (Vincenzo Preziosa) che, legato al filo rosso di un gomitolo, avanzando reciterà il brano sul tempo. Ma prima avranno sfilato, nel rito giornaliero di gettare sacchetti dell’immondizia, un inquietante omino con tunica e cappello (Caporossi) e poi due personaggi che via via gettano dentro quella bocca fagocitante i propri diversi abiti: ogni giorno qualcosa di sé, della propria identità scartata. E nello spazzare c’è anche il tempo meraviglioso per una musica creata dallo strofinio ritmico delle ramazze di due spazzini; o per l’indignazione poetica di Remondi verso la tv, davanti al telaio di un televisore anch’esso finito nel bidone. In questo gioco rarefatto di sottili variazioni sul tema della realtà che ci sopraffà ogni giorno, si affaccia l’ombra acuta della solitudine e l’inquietudine dell’identità resa però leggera dal lirismo figurativo sprigionato. Giuseppe Distefano Alla Sala Uno di Roma e in tournée. PRIMA DELLA PENSIONE L’abbietto ex ufficiale delle SS, vicecomandante di un lager, riqualificatosi come magistrato nella democratica Germania postbellica dopo alcuni anni di clandestinità, ogni anno festeggia l’anniversario della morte di Himmler. Indossando l’uniforme di un tempo si ripete un rito agghiacciante nella sua casa dove vive insieme alle due sorelle, l’una legata a lui morbosamente, l’altra riottosa e costretta a quel menage su una sedia a rotelle per via della sua invalidità. Anche in questo testo, Prima della pensione nato da un fatto di cronaca degli anni Settanta, Thomas Bernhard, con distruttivo sarcasmo smaschera l’ipocrisia, il fanatismo, l’ottusità dei suoi personaggi, siano essi borghesi, politici, intellettuali, conformisti. A rendere l’ossessione di questi personaggi, incapaci di crescere, è il regista Renzo Martinelli che affida l’interpretazione ad attori giovani, e bravissimi, con l’aggiunta della serva – una ingenua ragazza sordomuta – che ci osserva in continuazione, aprendo e chiudendo delle tende che svelano l’interno soffocante della casa: un cubo trasparente come fossero animali da vivisezione, o scatola da museo per farci scrutare il passato.

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