Scala al mistero

È una vera sfida quella che Chiara Lubich lancia quando annuncia l’idea di un approfondimento “ecumenico” della preghiera del rosario, in seguito alla lettera apostolica del papa. La combinazione delle due parole: “rosario” ed “ecumenismo”, non può non suonare come un paradosso per la sensibilità di un cristiano evangelico come sono. Se tutte le forme di devozione mariana costituiscono già in sé un punto di divergenza tra le nostre tradizioni, il rosario nella sua forma ripetitiva lo è in modo particolare. Tutto ti suggerirebbe di voltare pagina e basta, aspettando un argomento migliore per portare avanti i nostri rapporti ecumenici. Ma l’espressione coniata da Chiara Lubich, proprio perché sembra contraddittoria, ha suscitato la mia curiosità. L’unica via per capirne di più è stato andare alla fonte e cercare il testo del papa. L’ho trovato, l’ho letto tutto d’un fiato e ne sono rimasto profondamente impressionato. È un capolavoro spirituale e teologico, un documento di coraggio innovativo e – devo dar ragione a Chiara Lubich – di reale portata ecumenica. Il modo di sviluppare il discorso è molto vicino ai testi biblici, e proprio per questo motivo la figura di Maria traspare in tutta la sua bellezza: la tutta pura, la donna trasparente, colei che lascia tutto lo spazio e tutta la gloria a Gesù, al Padre, allo Spirito Santo. Maria vi è non essendoci. Niente tiene per se: né le parole rivolte a lei, e neanche l’amore che uno può sentire per lei (cf. § 26). Così nel testo del papa, appena scrive di Maria, già mette in luce Gesù; appena nomina il suo nome, già ella sparisce in Dio. Dove parla in un breve accenno della grazia che Maria dà quando la si prega, lo precisa dicendo che non si tratta della grazia che dà Maria, ma della grazia che Dio ci dà “quasi dalla mano di Maria” (cf. § ?); con un “quasi” come per dire che Maria nello stesso tempo c’è di mezzo, e non c’è. Da sempre, e non senza ragione, la teologia evangelica teme e rifiuta una figura di Maria che distoglie lo sguardo dalle persone della Trinità, e che porta a confidare in lei anziché nel Dio che è in lei. Il papa, cosciente di questo pericolo, descrive la preghiera del rosario come preghiera eminentemente cristologica, e per sottolineare questa impostazione – che poi è l’intenzione originaria del rosario e riflette la linea del Concilio – introduce un quarto ciclo di misteri, tutti centrati sulla vita di Gesù. Che cosa ho imparato da questa lettura? In quale modo “nuovo” viene espresso il rapporto tra preghiera (a Cristo) e Maria? Ho trovato, direttamente oppure indirettamente, quattro modi. 1. La preghiera “di” Maria (ad esempio nel § 10). È molto bella la descrizione della vita di Maria che è “tutta preghiera”, tutto uno sguardo a Gesù, ma in momenti ben diversi: interrogativo, penetrante, addolorato, radioso, ardente. Così lega vita e preghiera: una vita che è un andare con Gesù, una preghiera che si realizza in tutta un’esistenza. 2. Pregare “come” Maria (§1, 14 e altri). Ci mettiamo “alla scuola di Maria” per “leggere Cristo “, per imparare non solo le cose che ha insegnato, ma “imparare lui”. Maria – lo dico ora in parole mie – è la mistica che prima di tutti ha “vissuto Gesù”, e da lei – da questa icona bellissima di una creatura che ha condiviso tutta la vita col Figlio di Dio – possiamo imparare la strada per essere come lei il nulla pieno di Dio. 3. La preghiera “con” Maria. Nel rosario inteso in questo modo cristologico “riecheggia… il perenne Magnificat” per l’opera della salvezza, e possiamo “contemplare con Maria il volto di Cristo” (§ 3). Con Maria siamo coinvolti nella preghiera degli uomini di tutti i tempi, e con lei, “icona della contemplazione cristiana” (§ 9), siamo rivolti al Dio-Trinità. 4. La preghiera “in” Maria. Il papa, in una lettera al Movimento dei focolari sullo stesso argomento, parla della “contemplazione di Cristo con gli occhi di Maria”. L’immagine suggerisce un luogo del credente “in” Maria. Usando questo “in” si parla di Maria in maniera più metaforica, pensando ad una forma mariana di essere cristiani, al “profilo mariano” della chiesa, ad un “essere Maria” nel suo fiat che si estende nella storia e che costituisce l’atto fondante della vita cristiana, precedendo ogni struttura o ministero. Presentando Maria in questo modo, il papa la disegna veramente nell’orizzonte di una grande sensibilità ecumenica. Nessuno dei quattro punti dovrebbe ormai costituire un nodo nel dialogo col mondo evangelico. Resta però un ultimo punto che manca nell’elenco appena fatto: la preghiera “a” Maria. Le parole del rosario sono rivolte a lei. Evidentemente la lettera apostolica ne parla pure, anche se in modo molto leggero, presentando Maria appunto in questa sua trasparenza che non tiene niente per sé. Nel mondo delle Chiese evangeliche non esiste una preghiera che non sia rivolta a una delle tre persone divine. Era uno dei punti forti nel periodo della Riforma, in reazione a una situazione dove le più svariate forme di devozione minacciavano di coprire il volto di Cristo. Difficilmente dunque ci si immagina un evangelico prendere in mano il rosario. Ma questo “no” non è l’unica parola da dire, l’unica risposta da dare. All’insegna dello stesso Lutero, cristiani evangelici possono riscoprire Maria come quella meravigliosa icona della persona umana completamente aperta a Dio, vicina a Gesù nei momenti chiave della sua vita e con la sua presenza silenziosa, ma non per questo meno attiva tra i discepoli. Ci propone una immagine della chiesa che non vale per quello che dice e fa, ma per quello che è. Ecco che appare una dimensione del rosario tanto sottolineata dal papa: più che una preghiera di parole, il rosario è uno sgabello alla contemplazione del mistero. E quanto bisogno oggi di spazio per la contemplazione e di senso del mistero! L’appello del papa a riprendere in mano il rosario, lo posso dunque tradurre in un appello a riscoprire nella propria tradizione quelle forme di preghiera che portano alla contemplazione dell’opera di salvezza. Come non pensare allora alla grande ricchezza dei salmi e inni, riscoperti e sviluppati fin dall’inizio nelle Chiese della Riforma e diventati veramente la preghiera del popolo? Vengono cantati non solo durante il culto, ma anche in famiglia e persino da soli. Imparati da bambino, spesso anche a memoria, restano impressi e risuonano nei momenti più inaspettati. Nella loro diversità possono esprimere tutti gli stati d’animo del credente, e le loro melodie e i loro testi portano all’abbandono a Dio e alla fiducia nella sua provvidenza. È una forma di preghiera dove parla più il cuore che la mente, che ci inserisce nella comunione dei santi di tutti i tempi, da Israele (con Maria appunto, figlia d’Israele) fino a oggi, e che ci lega – anche se in modo misterioso – col coro degli angeli e dei santi in cielo. Dove la preghiera trascende le parole e diventa contemplazione, l’uomo si pone in una dimensione che trascende la propria vita terrena, e il cuore si riempie di quella speranza che è attesa gioiosa del paradiso che ci sta davanti; anzi che ci guarda già da ora e che vuole donarci qualche raggio della sua luce. Lontano da costituire un elemento che ci allontana dal mondo, è invece una forza formidabile per vivere nel posto dove Dio ci vuole, e distribuire con passione sempre rinnovata l’amore che noi stessi abbiamo ricevuto.

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