Sardegna. La loro presenza è vantaggio per l’economia

Un coordinamento regionale aiuta l’inserimento sociale pacifico: dal fare la spesa, a tenere in ordine un alloggio, a trovare lavoro nei campi, quasi all'abbandono
Ambulatorio immigrati in Sardegna

Continua sotto traccia, senza i clamori dei media, il prezioso lavoro della Caritas diocesana di Cagliari nel dare risposte ai bisogni degli immigrati provenienti da Lampedusa. Nell’isola è sorto il Coordinamento Sardegna emergenza umanitaria Nord Africa, con a capo la Protezione civile e che vede protagonisti oltre alla Caritas, il sistema della cooperazione, le province ed il mondo del volontariato, insieme ai comuni sardi. L’intento è quello di trovare alloggi e dare assistenza a chi giunge dopo traversate rocambolesche del Mediterraneo.

 

Tra i punti cardine del sistema di accoglienza, l’alfabetizzazione e l’assistenza sanitaria garantita da una quarantina di medici volontari. Per questo l’ambulatorio della Caritas è in stretto contatto con gli enti ospedalieri e le cure mediche sono accompagnate dalle spiegazioni dei mediatori culturali. «La maggiori parte degli immigrati – spiega Anna Cerbo, responsabile dell’ambulatorio per le povertà della Caritas – non conosce il concetto di prevenzione, perché nei loro Paesi non esiste un sistema sanitario nazionale e non si può accedere a farmaci e strutture perchè troppo costosi. Noi abbiamo medici di tutte le specializzazioni che operano qui in ambulatorio o nei propri studi dove indirizziamo gli immigrati. Per alcuni esami, come quelli clinici, ci sono laboratori che si sono messi a disposizione per effettuare i controlli in forma gratuita, così come gli specialisti amici che si offrono per visitare queste persone. Alcune persone che necessitano di ricovero vengono accolti in ospedale o cliniche».

 

Indispensabile il lavoro dei mediatori culturali della Caritas, vero ponte tra immigrati e società sarda. Sono loro che portano sulle spalle la fatica di raccontare a chi ha perso tutto ed è fuggito dalla guerra, che in Italia le cose vanno in maniera diversa. Alcuni dei 30 mediatori raccontano delle difficoltà di fare la spesa per alcuni immigrati, dato che non era loro consuetudine, così come l’importanza delle conservazione dei cibi in frigo, «cose elementari per noi – dice Rukia, una dei mediatori – ma complicate per giovani famiglie di rifugiati». Diverse le donne arrivate in attesa del figlio. Fra queste anche Sarah che insieme al marito vive in una palazzina dell’hinterland cagliaritano. Ha deciso che chiamerà Fabiana la propria figlia, per dire grazie a Fabio, l’operatore Caritas che tanto li ha aiutati.

 

La maggior parte degli immigrati ha trovato alloggio in case prese in affitto, con la garanzia dei pagamenti dall’ente caritativo della Chiesa. C’è poi il lungo percorso per il riconoscimento dello status di rifugiato, con tempi a volte biblici, ed esiti tutt’altro che favorevoli. In questo, un ruolo determinante lo svolgono gli avvocati che sono impegnati a pieno regime, anche se a volte la normativa non aiuta gli immigrati a ricevere il tanto agognato documento.

 

L’ultimo passo è quello dell’inserimento che spesso è legato alle attività rurali, in collaborazione con le microimprese e le agenzie regionali. «Abbiamo una grande opportunità di impulso economico – dice don Marco Lai, direttore della Caritas diocesana – grazie all’inserimento degli immigrati nelle nostre attività tradizionali». L’arrivo di nuovi immigrati diventa una risorsa per la realtà locale, offrendo opportunità di lavoro, agli operatori assunti dopo anni di volontariato e con i fondi dell’emergenza anche la microeconomia dei territorio se ne avvantaggia.

 

Insomma un grande lavoro di squadra che conferma la vocazione all’accoglienza dei sardi. Dato ribadito anche da Antonello, che vive nel palazzo dove la Caritas ha sistemato sei ragazzi del Camerun. «Dalla scorsa primavera questi giovani sono sopra di me. Devo dire che dopo i timori iniziali mi sono ricreduto ed ho trovato persone a modo, che hanno solo voglia di vivere in pace e sostenere le loro famiglie lontane da qui».

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