Russo (Acli), no a questa politica sui migranti

Dalla tragedia dei campi di detenzione libici alla inaccettabilità dei respingimenti di massa e dell’inerzia europea. Le tante ragioni per scendere in piazza in nome della dignità umana
ANSA/MASSIMO PERCOSSI

Nell’annunciare la tragedia nascosta degli oltre 100 morti (almeno 20 i bambini) in un naufragio al largo della Libia lo scorso primo settembre, il Centro Astalli ha affermato che «paghiamo un prezzo altissimo in termini di vite umane per l’insufficienza di operazioni di soccorso in mare, dopo che tutte le Ong presenti sono state costrette a cessare la propria attività di ricerca e soccorso».

La denuncia di padre Camillo Ripamonti arriva nel pieno dello scontro in atto sulla politica dei migranti. Il centro per i rifugiati promosso dai gesuiti aveva promosso, assieme a molte associazioni e movimenti come i Focolari, la necessità di una nuova agenda politica in materia.

Questione trattata ampiamente da Città Nuova e ripresa in incontri promossi dal Movimento politico per l’unità anche in sedi parlamentari, con l’intervento, tra gli altri, di Antonio Russo in rappresentanza delle Acli. Con l’esponente dell’associazionismo dei lavoratori cristiani, siamo entrati, in una lunga intervista, nel dettaglio dei temi aperti. Il caos libico, ad esempio, mostra tutta l’insostenibilità della proposta politica di rimandare i migranti in quel Paese dalla sovranità contesa in una guerra per bande, se non al prezzo di esporli a violenze indicibili. Ma come si deve esprimere questo dissenso? Si può restare a distanza, sul balcone come dice papa Francesco, o bisogna, oltre ad essere credibili nell’accoglienza, ad andare nelle piazze? Continuiamo la nostra intervista.

Il sistema dei respingimenti, annunciato dal ministro Salvini, induce a trovare dei “luoghi sicuri” dove rimandare i migranti “irregolari”. Secondo voi la Libia è un porto sicuro? Si può dire che i campi detenzione del governo di Tripoli assicurino il rispetto dei diritti umani e che quindi vanno distinti da quelli in mano alle organizzazioni dei trafficanti?
Assolutamente no, la Libia non è un porto sicuro, per il semplice fatto che i governi libici non hanno firmato le convenzioni internazionali. Siamo tutti a conoscenza del fatto che in Libia i campi di detenzione sono carceri a cielo aperto, in cui si perpetuano ogni tipo di torture. Attualmente la situazione del Governo libico non dà certezza alcuna sul rispetto dei diritti umani e la situazione interna è molto instabile. Una seria politica internazionale non dovrebbe trattare con i Paesi che secondo la stessa ONU, non garantiscono i più elementari diritti dell’uomo.

L’altra idea che circola in ambienti vicini al governo è quella di definire un blocco navale per impedire la partenza dei barconi e così ostacolare gli interessi degli scafisti. In quale modo si potrebbero colpire le mafie che gestiscono la tratta degli esseri umani?
C’è un solo metodo per colpire le mafie che gestiscono la tratta degli esseri umani: regolarizzare i flussi migratori, creando corridoi umanitari, per consentire alle persone in fuga dai propri Paesi di non doversi mettere nelle mani dei moderni Caronte del Mediterraneo. Entrare in modo sicuro in Europa è possibile ed in primis un obbligo al quale dovrebbero sottoporsi i Paesi dell’Unione attraverso programmi di Reinsediamento (Resettlement). Sul versante della solidarietà e dell’accoglienza poi non mancano progetti e iniziative sui corridoi umanitari di FCEI, Caritas, Sant’Egidio e Chiesa Valdese, il cui fine è di far entrare in sicurezza le persone in quest’altra parte di mondo.

Ma sono casi che intercettano un numero limitato di persone…
Per dare sistematicità a questo progetto occorre la volontà da parte dell’Unione Europea di farsi davvero carico di una politica di relocation, che non sia scritta solo sulla carta e seguita a piacimento dei diversi Paesi, ma effettiva. Se si fosse dato seguito alla politica di redistribuzione dei migranti oggi staremmo qui a discutere di altro. Invece la relocation c’è stata solo in minima parte. Secondo i dati dell’UNHCR, al 3 ottobre 2017, su 98.255 ricollocazioni sui cui si era impegnata l’UE, sono stati ricollocati meno di 30.000 immigrati.

Con quali conseguenze a livello politico?
L’Europa ha una grossa responsabilità su questo mancato obiettivo e per tal motivo sta prendendo una deriva pericolosa, proprio quella che la nascita dell’Europa, dopo le due guerre e i conseguenti orrori, avrebbe voluto scongiurare, sperando che non succedesse mai più. L’Unione Europea fa ancora in tempo a cambiare rotta, ma deve modificare le politiche migratorie e, se necessario, adottare lo stesso rigore che ha imposto per altre questioni. Le persone che fuggono dai loro Paesi per motivi di guerra o persecuzioni devono poter raggiungere l’Europa in sicurezza, immaginando, nella migliore delle ipotesi, che lo status di rifugiato possa addirittura essere verificato nelle loro comunità nazionali di origine, facendo partire le persone, qualora ne avessero il diritto, in aereo. Non è utopia. Una buona pratica già c’è, basta replicarla.

L’altra strategia avviata già dal precedente ministro degli interni, il pd Marco Minniti, è quella di fermare il flusso dei migranti nello snodo strategico del Niger. Come giudicate questa linea che si associa agli accordi con i sindaci o capotribù del Fezzan?
Gli accordi si possono solo fare con governi stabili, seri e democratici. Non è il caso del Fezzan che è un’area alquanto insicura e instabile, poiché è in mano a diverse fazioni in lotta fra loro.

Che tipo di impegno state portando avanti sulla questione delle migrazioni? A settembre si annuncia una grande manifestazione nazionale in chiave antirazzista …
Noi crediamo che l’impegno antirazzista sia un impegno feriale, non festivo. Pertanto riteniamo che tutte le campagne di sensibilizzazione e tutte le manifestazioni siano utili. In Europa e in Italia, numerose organizzazioni della società civile hanno costruito, nel silenzio del lavoro quotidiano, un fronte antirazzista, non solo lavorando per l’integrazione e l’inclusione dei migranti, ma anche organizzando campagne di sensibilizzazione e portando alla politica proposte di legge praticabili. Dopo la campagna nazionale Ero straniero. L’umanità che fa bene, in cui un ampio cartello di organizzazioni della società civile ha raccolto migliaia di firme per chiedere una legislazione al passo con questi tempi di grandi migrazioni, le Acli sono fra le organizzazioni promotrici dell‘iniziativa dei Cittadini Europei (ICE) Welcoming Europe. Per un’Europa che accoglie.

In cosa consiste questa iniziativa a livello europeo? E quali sono i suoi obiettivi concreti?
Si tratta di uno strumento di democrazia diretta con cui vincolare la Commissione e il Palamento europeo ad agire per: fermare il reato di solidarietà; creare passaggi sicuri per i rifugiati; proteggere le vittime di abusi e violazioni; garantire accesso alla giustizia. L’obiettivo è raccogliere, entro febbraio 2019, un milione di firme in almeno 7 Stati europei. Poiché le Acli credono fermamente in un’Europa che accoglie e tutela i diritti di ogni persona – regolare o irregolare che sia – invitiamo tutti a firmare on line sul sito welcomingeurope.it e a sostenere quest’importante iniziativa, invitando i propri contatti a sottoscrivere allo stesso link.

Quali sono i criteri, per dei cattolici impegnati come le Acli, per aderire e promuovere un grande evento di natura politica come la manifestazione che si annuncia a settembre senza farsi sommergere dalle discussioni sulla ricomposizione di una sinistra in crisi di identità?
Per far fronte al crescente sovranismo, nazionalismo, razzismo, che sta pericolosamente prendendo piede in Italia e in Europa, ben vengano tutte le manifestazioni in cui, a prescindere dalla sensibilità di ognuno, si scenda in piazza non per esacerbare le proprie posizioni politiche, ma per difendere i valori umani che sono alla base della nostra democrazia, costruita con sofferenza e fatica. La visione del gruppo Visegrad ( Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia e Ungheria) esprime un’idea di politica e governo che non corrisponde ai valori dell’Europa. Le Acli hanno già aderito alla manifestazione “insieme senza muri” di Milano del 28 agosto, per dare un segnale contro l’incontro fra il ministro dell’Interno Matteo Salvini e il primo ministro ungherese Viktor Orban, una manifestazione organizzata in poche ore a cui hanno aderito migliaia di persone, proprio per esprimere un “no” fermo alle politiche sovraniste del gruppo Visegrad. Valuteremo la nostra presenza alla manifestazione di settembre, che per noi, non rappresenterà una protesta né di destra, né di sinistra ma una manifestazione sui diritti umani. Le manifestazioni, quando chiamano a raccolta su grandi valori come i diritti umani, la solidarietà tra i popoli e l’antirazzismo, travalicano le pur comprensibili ragioni ideologiche.

Difficile non avere ricadute nel mondo dei partiti…
Tali eventi possono, al massimo, aiutare i partiti a ritrovare le motivazioni più profonde del loro impegno politico e civile. Da cittadini e da donne e uomini appassionati di politica ci stanno molto a cuore la vita dei partiti, i loro programmi, la coerenza con la quale i loro rappresentanti li traducono in riforme che fanno dell’Italia un Paese migliore. Siamo altresì convinti che nel dibattito giornaliero interno e con gli italiani si costruiscono, e a volte ricostruiscono, rapporti di fiducia duraturi. Al di là dei conflitti e della dialettica, per parte nostra auspichiamo che la politica ritrovi parole di senso, politiche di senso. Se non altro per affermare che le parole e la politica hanno ancora un senso. Quanto alla nostra presenza alle manifestazioni mi stento di dire che le Acli saranno dove ci saranno da difendere le ragioni di una civiltà e di una umanità indisponibili a declinare di fronte a nuove forme nazionali e sovranazionali di egoismo economico, politico e sociale.

Qui la  Prima parte dell’intervista

 

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