Russia: ora il doping è reato

La legge approvata dopo l’esclusione degli atleti russi di atletica dall’olimpiade di Rio. In Italia il reato è teoricamente punito con la reclusione. L’importanza della certezza della pena e dell’educazione da giovani
doping

La Duma russa ha approvato all’unanimità in terza e ultima lettura un progetto di legge che prevede l’introduzione del reato di “incitamento al doping e somministrazione illegale di sostanze dopanti”: in base al varo, operatori, allenatori e medici sportivi ritenuti colpevoli rischieranno fino a un anno di carcere e tre anni di divieto di attività. La condanna scatterebbe in seguito all’accertamento delle autorità che l’imputato abbia fatto dopare un atleta minorenne o abbia costretto un atleta a doparsi dietro minacce. Se dovesse essere accertato che il doping può provocare all’atleta gravi conseguenze o persino la morte, chi lo ha incitato a usare sostanze dopanti rischierà fino a 3 anni di reclusione e 5 anni di divieto di attività.

 

Il provvedimento arriva dopo lo scandalo che ha investito negli ultimi mesi il mondo dello sport russo: come abbiamo illustrato anche in questo articolo sulla nostra testata, un rapporto dell’agenzia mondiale antidoping Wada accusava la Russia di aver creato un sistema di doping di Stato, chiamando in causa il ministero dello Sport e i servizi segreti. Per questa ragione tutti i russi dell'atletica leggera, tranne la campionessa di salto in lungo Daria Klishina, erano stati esclusi dalle Olimpiadi di Rio, comunque falcidiate da squalifiche e sospetti, come illustrammo in questo altro articolo.

 

Si tratta di un’altra pagina importante, per la Russia in particolare ma non solo, data l’incidenza su scala globale di questo cancro che capace di annichilire il senso sportivo delle gare ma soprattutto la stessa salute degli atleti coinvolti, oltre alla credibilità tutta delle federazioni coinvolte. Ma in Italia, come funziona?

 

Ad oggi, si fa riferimento alla legge 14 dicembre 2000, n. 376, dove in base  all’articolo 9, salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni e con la multa da lire 5 milioni a lire 100 milioni chiunque procura ad altri, somministra, assume o favorisce comunque l’utilizzo di farmaci o di sostanze […] al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti, ovvero siano diretti a modificare i risultati dei controlli sull’uso di tali farmaci o sostanze.

 

Eppure, in tempi recenti non si registrano casi di atleti colpevoli di doping sanzionati col carcere perché, per quanto il diritto sportivo si rifaccia a quello penale, i due procedimenti sono distinti e la semplice assunzione non è sanzionata a livello penale, a meno che non sia dimostrata la volontà di manipolare una competizione sportiva, ad esempio per fini di scommesse.

 

Peraltro esistono altre differenze: nel processo penale ci si può avvalere della facoltà di non rispondere, quando si testimonia contro un congiunto (non è necessario che sia un coniuge) mentre nel processo sportivo non è previsto. Così per dimostrare il dolo “le indagini devono essere lunghe e approfondite e sappiamo come il caso cada in prescrizione anche dopo sei anni, ma non oltre di solito sette e mezzo.

 

Di fatto, se la pena massima prevista in Italia è di tre anni, in media si arriverebbe a non più di un mese con la condizionale. Certo, per un atleta militare si possono configurare ulteriori sanzioni dato che il processo si tiene in un tribunale militare e comporta molteplici conseguenze ma, ovviamente, va prima dimostrato il dolo. Invocare squalifiche a vita non sembra una grande soluzione, dati anche i recenti casi incorsi: non la severità, ma la certezza della pena è piuttosto un deterrente realmente efficace, concordano molti giuristi in merito, anche perché col sistema attuale il processo è quasi immediato, come la sanzione anche, mentre in caso di squalifica a vita i tempi si dilaterebbero e il caso perderebbe anche risonanza mediatica.

 

Inoltre una simile pena violerebbe il principio della proporzionalità della pena e l’atleta si potrebbe appellerebbe al tribunale per i diritti dell’uomo (e anche in questo caso i tempi della giustizia si allungherebbero). Se un altro deterrente potenzialmente efficace, introdotto dal 2015, è la possibilità di riduzioni di pena per chiunque collabori attivamente a smascherare un sistema di doping, l’unico vero deterrente efficace a prescindere, come sempre, sembra essere l’educazione, che da famiglie, associazioni sportive e scuole non può essere sottovalutata mai.

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