Rotta balcanica e diritti umani, che fare?

Continuano le violazioni dei diritti umani, viene intimidita la solidarietà, nessuna riforma in vista del patto europeo sulle migrazioni. Che fare? Il punto della situazione nel collegamento web promosso il 9 marzo 2021 da Città Nuova assieme al Movimento politico per l’unità
Rotta balcanica

Rotta balcanica e diritti umani. Cambiano i governi, ma niente di nuovo avviene sul nostro confine orientale. Nella bellissima e inquieta città di Trieste, prima dell’alba dello scorso 23 febbraio, la polizia ha bussato alla porta di Lorena Fornasir e Gian Andrea Franchi per sequestrare vari documenti oltre ai loro telefoni cellulari. La loro abitazione è, come succede a tante realtà nate dal basso, anche la sede di un’associazione, “Linea d‘ombra ODV”.  che hanno fondato nel 2019 «per dare forma giuridica ad un impegno lungo la rotta balcanica» dove «i migranti si addensano a migliaia nel nord della Bosnia, al confine con l’Unione Europea, in campi mal gestiti e nelle strade, in condizioni di vita inaccettabili». Cosa cercano di fare?  «Rendere meno insopportabili le condizioni di vita dei profughi, denunciare le situazioni inaccettabili nei campi e il disumano comportamento delle polizie di confine».

Sono persone note in città. Due volte a settimana Lorena, con gli altri volontari, si reca nei dintorni della stazione di Trieste per medicare i piedi dei migranti piagati dal lungo cammino transcontinentale. Un gesto semplice che ci ricorda le ultime immagini di don Roberto Malgesini, il prete di strada che a Como si prendeva cura dei migranti ed è stato ucciso, nel settembre 2020, dal gesto di follia di uno squilibrato che cercava di aiutare. Stare in strada può essere poetico ma è impegnativo, espone al pericolo fisico dell’incontro e del pregiudizio di chi è persuaso dai racconti, dall’invasione dei migranti alla minaccia della sostituzione etnica, che accompagnano il fenomeno epocale delle migrazioni che gli Stati non riescono a gestire in maniera coerente e solidale.

Il problema di Lorena e Gian Andrea risiede nel fatto che non si limitano ad un’azione umanitaria, in città o nei luoghi di confine dove si recano con regolarità: anche tra Croazia e Bosnia. Il loro è un gesto politico di denuncia delle politiche migratorie del nostro Paese e dell’Unione europea, contestando la linea adottata di anteporre un muro invalicabile e violento a queste persone che migrano in cerca di asilo, denunciano il contenuto dell’accordo miliardario con la Turchia che trattiene e usa come arma geopolitica milioni di migranti in fuga da guerre, cambiamenti climatici e miseria.

Sabato 6 marzo diverse città italiane ed europee hanno aderito all’invito di Linea d’ombra di scendere in piazza per dire con “un ponte di corpi” che emigrare è un diritto e accogliere un dovere. «Il mondo ancora non ha preso coscienza che la migrazione è un diritto umano» ha ribadito papa Francesco nella conferenza stampa nel viaggio di ritorno dall’Iraq, precisando che lo è anche quello delle persone di restare in pace nel loro Paese, libere dalle strategie di guerre e sopraffazione che si consumano sulla vita di intere popolazioni.

E proprio mentre si tenevano queste manifestazioni di solidarietà, nel rispetto delle regole anti Covid, è giunta la notizia dal confine serbo bosniaco di un ragazzo pakistano morto dilaniato da una mina anti uomo, tra le migliaia ancora disseminate in questa parte di Europa segnata dallo smembramento dell’ex Jugoslavia, la guerra recente rimossa dalla nostra memoria politica.

Il nostro compito è quello di non rimuovere lo sguardo da ciò che sta accadendo adesso. Nonostante l’incalzare della pandemia, l’aumento della povertà tra gli italiani, con le associazioni e le parrocchie che raccolgono cibo per famiglie stremate dalla crisi, si è vista all’opera una solidarietà immediata e cordiale per i profughi intrappolati nel gelo del cantone bosniaco confinante con la Croazia. Aiuti generosi sono partiti per la Caritas e l’Ipsia Acli, la ong italiana presente in quei luoghi dal 97.

Ma il legame solidale apre alla consapevolezza di una soluzione politica di uno stato di cose che resta, invece, immobile. Cioè con un patto europeo sulle migrazioni che non riesce a fare quella svolta solidale compiuta con il Next Generation Eu, con il permanere delle prassi di violazioni del diritto d’asilo in Italia denunciate dall’Asgi.

Domandarsi “che fare?” vuol dire non accettare l’ordine ingiusto delle cose. Cercare tutti i modi per una soluzione in grado di salvare il senso della giustizia e della nostra umanità.

Per questo motivo il 9 marzo sera dalle ore 19 continuiamo a parlare di Rotta balcanica, facendo il punto della situazione con Gianfranco Schiavone dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione. Ci collegheremo con padre Stanko Perica, responsabile in Croazia del Jesuit Refugee Service, organizzazione cattolica a difesa dei diritti dei rifugiati e degli sfollati

Abbiamo chiesto anche a Laila Simoncelli, avvocata esperta diritti umani, dell’Associazione comunità papa Giovanni XXIII (Apg23) di avere uno sguardo anche su ciò che accade a Lesbo in Grecia.

Per affrontare il nodo politico della questione, ha dato la propria disponibilità, tra i tanti interpellati dal Mppu, Matteo Mauri, deputato Pd, che ha ricoperto la carica di vice ministro dell’Interno fino a febbraio 2021 e quindi con competenze dirette in materia di migrazione.

Dal livello internazionale a quello nazionale, il Mppu, Movimento politico per l’unità, espressione del Movimento dei Focolari, è una realtà che cerca di promuovere, con il metodo del dialogo aperto ed esigente, percorsi di fraternità in politica.

Dal primo incontro web del 5 gennaio 2021 Città Nuova e Mppu stanno lavorando assieme per tener viva l’attenzione sulla questione di diritti umani e Rotta balcanica

Diretta sul canale You tube di Città Nuova

 

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