Rosatellum 2.0. Un realistico compromesso

Altri sistemi potrebbero rivelarsi teoricamente migliori, ma, ragionando nel caso particolare del nostro Paese, il sistema proposto ha degli elementi di forza che rispettano i criteri dettati dalla corte costituzionale. Il parere del  professor Salvatore Curreri nell’intervista a Città Nuova

Con il professor Salvatore Curreri, docente di diritto costituzionale all’Università Kore di Enna, riprendiamo il discorso aperto con il dibattito avvenuto nell’edizione di LopianoLab 2016 in prossimità del referendum costituzionale del 4 dicembre dell’anno scorso che ha segnato la vittoria del No alla riforma costituzionale Boschi Renzi. Dopo la bocciatura parziale da parte della Corte Costituzionale della legge elettorale Italicum, ci troviamo ora di fronte ad una nuova proposta di legge elettorale che arriva in Senato per l’approvazione definitiva a pochi mesi dall’apertura dei seggi del voto che individuerà il nuovo Parlamento.

È sostenibile a suo giudizio una legge elettorale approvata in prossimità delle elezioni? Esistono estremi per il ricorso alla Corte Costituzionale? 
È vero che il Consiglio d’Europa raccomanda di non modificare la legge elettorale nell’anno precedente le elezioni, per evitare che riforme approvate al solo scopo di danneggiare le minoranze. Ma la situazione italiana è del tutto particolare poiché le leggi elettorali vigenti non sono state approvate dal Parlamento ma sono il risultato delle due sentenze della Corte costituzionale che hanno dichiarato parzialmente incostituzionali sia nel 2014 la legge Calderoli sia nel 2017 il c.d. Italicum. È stata la stessa Corte costituzionale, a chiusura di quest’ultima sentenza, ad invitare il legislatore ad approvare leggi elettorali per le due Camere che, “pur se differenti non ostacolino, all’esito delle elezioni, la formazione di maggioranze parlamentari omogenee” così da “non compromettere il corretto funzionamento della forma di governo parlamentare”.

Oggi, le vigenti leggi elettorali di Camera e Senato divergono sensibilmente in molti punti: per quanto riguarda i candidati, alla Camera vi sono i capilista bloccati e la doppia preferenza di genere mentre al Senato vi è un solo voto di preferenza; i collegi elettorali del Senato corrispondono all’intera regione, e quindi sono molto ampi, mentre alla Camera sono di dimensione pressoché provinciale; le coalizioni elettorali sono vietate alla Camera mentre, invece, sono consentite al Senato; di conseguenza la soglia di sbarramento è unica alla Camera (3%) e distinta al Senato tra liste coalizzate (3%, a patto che la coalizione ottenga il 20%) e liste non coalizzate (8%); il premio di maggioranza è previsto alla Camera (per la lista che ottiene almeno il 40% dei voti) ma non al Senato. Troppe differenze, dunque, che rischiano di confondere l’elettore e di determinare una composizione delle due camere sensibilmente diversa, ben al di là della diversità anagrafica tra i due elettorali (per votare al Senato occorrono almeno 25 anni). Da questo punto di vista, quindi, non vedo proprio come si possa eccepire l’incostituzionalità di una riforma che risponde ad un’esigenza di omogeneità evidenziata dalla stessa Corte costituzionale.

Quali sono i punti di forza dell’attuale proposta di riforma elettorale?
Per fare una valutazione corretta, dobbiamo paragonare l’attuale proposta di riforma con le leggi vigenti e non con quelle che riteniamo ottimali. Ci muoviamo, quindi, in un’ottica di compromesso, com’è giusto che sia quando si tratti di scrivere le regole del gioco, in cui è inevitabile che ognuno ceda qualcosa a vantaggio del reciproco consenso. Il pregio più evidente della riforma elettorale è la semplificazione dei due sistemi elettorali, eliminando le differenze sopra evidenziate: unica soglia di sbarramento al 3% per tutte le liste, coalizzate o no; introduzione (per un terzo dei seggi) di collegi uninominali che dovrebbe consentire una migliore selezione dei candidati e un maggiore loro radicamento nel territorio; riduzione dei collegi elettorali del Senato, giacché l’attuale dimensione regionale costringerebbe i candidati (soprattutto nelle regioni più grandi) a campagne elettorali molto costose (con conseguenti intuibili rischi di condizionamento); l’indicazione del nome dei candidati nella scheda, in modo da permettere all’elettore di sapere per chi vota; estensione delle c.d. quote-rosa anche al Senato.

Vede anche dei punti critici nel Rosatellum 2.0?
Un punto di debolezza è la reintroduzione delle coalizioni alla Camera (e la loro conferma al Senato) a sostegno dei candidati dei collegi uninominali. Non c’è dubbio che, in un contesto pluripartitico come l’attuale, va apprezzato ogni sforzo teso a permettere alle forze politiche di unirsi, anziché dividersi. Ma l’esperienza ci dice che spesso le coalizioni elettorali sono state formate al solo scopo di vincere le elezioni, incentivando a tal fine il potere dei piccoli partiti di pretendere, in cambio del loro appoggio, magari decisivo in certi collegi, un certo numero di seggi ben maggiore rispetto alla loro consistenza numerica. Senza considerare come tali coalizioni elettorali si sono poi rivelate un pessimo presupposto per un’azione di governo unitaria ed efficace.

Si poteva fare di meglio? Quale sistema considera il migliore nel caso italiano considerando la divisione dell’elettorato in almeno tre poli principali? In una situazione politico-istituzionale come l’attuale, in cui vi sono tre grandi partiti, ma anche tanti piccoli partiti, formati da parlamentari transfughi e quindi privi di identità politico-elettorale, nessuna legge elettorale può garantire che dalle urne esca una maggioranza di governo, né che questa sia identica in entrambe le camere di cui il Governo deve avere la fiducia. In questo senso, dopo il fallimento del riforma in senso tedesco dei mesi scorsi, l’attuale proposta di riforma rappresenta forse l’unico accettabile compromesso tra rappresentanza e governabilità. Ciò detto, ovviamente il panorama comparato offre soluzione in tal senso più coraggiose e selettive, come l’uninominale secco vigente in Gran Bretagna, il doppio turno francese e il proporzionale tedesco con sbarramento al 5%. Lo stessa logica del doppio turno di lista, su cui si basava l’Italicum, potrebbe idealmente essere recuperata accogliendo taluni suggerimenti contenuti nella sentenza della Corte costituzionale per quanto riguarda le percentuali di accesso al ballottaggio e di suoi votanti. Ma, come detto, dobbiamo essere realisti e non lasciarci condizionare dai nostri desideri.

Come si spiega la costante crescita dell’astensionismo negli ultimi anni? Domanda un milione di dollari. Le cause sono diverse, anche a seconda dei territori. Principalmente la gente non crede più che la politica possa risolvere i tre gravi problemi emersi negli ultimi anni: disoccupazione, immigrazione e sicurezza. Nelle percezione negativa e ingigantita di tali problemi mi pare pesi anche la loro narrazione da parte dei mass media. Ciò detto, è evidente che la politica deve recuperare la fiducia dell’elettorato, innanzi tutto in termini di credibilità. La speranza è che la proposta di riforma elettorale possa dare un contributo in tal senso.

 

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