Roma: termovalorizzatore sì o no?

La proposta del sindaco di Roma Roberto Gualtieri di costruire un nuovo termovalorizzatore per smaltire i rifiuti della Capitale ha riaperto il dibattito su questi impianti.

La gestione dei rifiuti in Italia ha sempre creato dibattito. La parola “rifiuto” di per sé genera già pensieri di scarto, allontanamento, qualcosa che non serve più. C’è chi al contrario pensa invece che il rifiuto è una risorsa, genera lavoro ed energia, si può riciclare e riutilizzare.

C’è però un problema da risolvere: che ne facciamo dell’indifferenziato? Ovvero del rifiuto che non può essere riciclato? Oggi l’Italia è ferma al 48,4% della raccolta differenziata, l’Ue al 47,8%.

Il Belpaese a settembre 2020 ha dato attuazione alle direttive europee del “Pacchetto Economia Circolare” con gli obiettivi di riciclo dei rifiuti urbani: almeno il 55% entro il 2025, almeno il 60% entro il 2030, almeno il 65% entro il 2035 (fonte Ministero della Transizione Ecologica) e una limitazione al loro smaltimento in discarica non superiore al 10% entro il 2035. E il resto dei rifiuti, cioè l’indifferenziato dove andrà?

Ad oggi non esiste una città al mondo che abbia lo 0% di indifferenziato. Questo rifiuto va o in discarica o in un termovalorizzatore per produrre energia.

La situazione a Roma
La Capitale d’Italia sta combattendo da anni per risolvere il problema. La raccolta differenziata è in ritardo. Mancano gli impianti e il 98% dei rifiuti viene trattato fuori città. Questo sistema costa. Roma ha cifre esorbitanti per lo smaltimento dei suoi rifiuti con una tariffa per i cittadini che è la più cara d’Europa.

Lo scorso 20 aprile il sindaco Roberto Gualtieri ha presentato nell’Assemblea capitolina il piano rifiuti che comprende vari impianti: due biogas, ossia di digestione anaerobica, che tratteranno la frazione organica; due impianti destinati al recupero della carta e della plastica; 18 centri di raccolta (isole ecologiche di cui 10 già funzionanti, ma verranno potenziate). E per la prima volta ha parlato di un nuovo termovalorizzatore, di ultima generazione e a gestione pubblica.

Il piano è stato approvato nonostante i voti contrari dei partiti ecologisti. Il Movimento Cinque stelle si è astenuto. Il sindaco ha ricordato che in tante città governate dai 5stelle, come ad esempio Torino, dove c’è stata la sindaca Appendino, si usa il termovalorizzatore.

Dopo qualche giorno la società Izi – che si occupa di metodi, analisi e valutazioni economiche – ha effettuato un sondaggio fra i romani riscontrando quasi un plebiscito a favore del termovalorizzatore: l’84,4% si è espresso favorevolmente. Roma è stanca di vedere le proprie strade sporche e piene di rifiuti.

Alcune domande
Ci siamo chiesti: ma davvero un termovalorizzatore è più dannoso di una fabbrica farmaceutica o un’azienda di produzione di elettrodomestici? Chi inquina di più?

Lo abbiamo chiesto ad alcuni amici ambientalisti, siamo in attesa di risposte. Non basta dire di no. Servono alternative che diano risultati nel breve periodo.

Qualche giorno fa però, parlando fra colleghi, uno di loro che abita a Pomezia (sud di Roma dove si ipotizza sarà costruito il termovalorizzatore) è contrario al termovalorizzatore perché ha paura. Ma alla mia domanda, perché non avesse paura delle fabbriche già esistenti che ha intorno casa, mi ha risposto: “Ma quelle danno lavoro”. Beh, rispondo io, anche il termovalorizzatore dà lavoro oltre all’energia che si recupera dalla combustione dei rifiuti. E chi mi dice che quelle fabbriche non inquinano di più?

Un altro amico abita in zona San Giovanni (quartiere di Roma). Mi dice: “io non voglio il termovalorizzatore sotto casa”. Forse non sa che tutto lo smog che ha sotto casa a causa del traffico 24 ore su 24 produce livelli di pm10 molto alti che potrebbero essere quasi più dannosi. Sì, perché uno dei principali fattori che incide sulla mortalità in Italia è proprio lo smog.

Qualsiasi città, anche la più virtuosa in percentuale di raccolta differenziata, ha una parte di rifiuto indifferenziato che non può essere riciclato e va in discarica o in termovalorizzatore.

L’energia generata da quest’ultimo non si può considerare una fonte di energia rinnovabile. Ma è anche vero che è più sostenibile produrre energia da uno scarto piuttosto che mandare i rifiuti in discarica (più inquinante). I termovalorizzatori di ultima generazione forse possono aiutarci a raggiungere gli obiettivi europei sulla quantità di rifiuti che finiscono in discarica.

D’altronde il Piano nazionale di gestione rifiuti (pngr), elaborato dal Ministero della Transizione ecologica (Mite), è un progetto che ha l’obiettivo di colmare il gap impiantistico, aumentare il tasso di raccolta differenziata e di riciclaggio al fine di sviluppare nuove catene di approvvigionamento di materie prime seconde dal ciclo dei rifiuti, in sostituzione di quelle tradizionali e contribuire alla transizione energetica. Si tratta di una riforma che deve accompagnare e sostenere i due investimenti del Pnrr per l’economia circolare, uno da 1,5 miliardi di euro e l’altro da 600 milioni.

Il problema sta a monte
Nei giorni scorsi è intervenuta l’Agenzia europea dell’ambiente (Eea), mostrando che negli ultimi 5 anni i rur (rifiuti urbani residui), cioè l’indifferenziato generato in Europa, si sia stabilizzato attorno alle 113 mln ton/anno, una quota che secondo gli obiettivi Ue dovrebbe dimezzarsi al 2030. Obiettivo molto ambizioso. Bisogna intervenire nella filiera produttiva, nelle industrie e produrre meno rifiuti (da imballaggio, etc etc). Secondo la Eea, per dimezzare la quota dell’indifferenziato, l’Italia (e l’Europa) deve arrivare ad almeno al 60% del riciclo dei rifiuti. E comunque rimane sempre un 40% di indifferenziato.

La Toscana però sta valutando un progetto da non sottovalutare. La Regione ha deciso che il Piano regionale per l’economia circolare non prevedrà la realizzazione di nuovi termovalorizzatori, vista anche la disponibilità di tecnologie innovative come il riciclo chimico. Questo processo è una soluzione tecnologica che permette di chiudere il ciclo recuperando i rifiuti plastici e secchi non riciclabili meccanicamente. La tecnologia consente di trasformare il carbonio e l’idrogeno contenuti in questi rifiuti per ottenere molecole re-impiegabili come elementi di partenza per nuovi prodotti o carburanti sostenibili. Un progetto che è nelle sue fasi iniziali ma forse, fra qualche anno potrebbe essere un’alternativa per diminuire maggiormente la percentuale di indifferenziato.

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