Roma, referendum Atac

Rinviato più volte, si svolgerà domenica 11 novembre. Il voto referendario avrà un valore consultivo se andranno alle urne almeno il 33% degli aventi diritto. L’occasione per un vero dibattito sulla città capitale da continuare dopo il voto. Nel prossimo articolo sul tema analizzeremo le posizioni in campo
ANSA/MASSIMO PERCOSSI

Nella giornata di domenica 11 novembre 2018 i residenti nella città di Roma potranno recarsi alle urne dalle ore 8 alle 20, per votare il referendum sulla gestione del trasporto pubblico o, come di dice comunemente sull’Atac, l’azienda municipalizzata che gestisce la quasi totalità del servizio in regime di monopolio.

Parliamo di una “società con socio unico soggetta alla direzione e coordinamento di Roma Capitale” al centro di numerose polemiche, scandali e disservizi di diversa origine e causa. Dal recente crollo di una scala mobile in metropolitana all’incendio improvviso di alcuni mezzi troppo vecchi e carenti di manutenzione, la situazione appare insostenibile come si può constatare attendendo invano il passaggio dei mezzi in qualche strada periferica o capitando in mezzo a scioperi indetti da qualche sigla sindacale, per motivi che restano sconosciuti a più, che paralizzano la circolazione della città capitale del Paese.

Chi non vuole perdere tempo o si ricorda della cosa pubblica solo all’ultimo momento è tentato di risolvere il tutto credendo che il referendum, in effetti finora poco noto, inviti a farla finita con questo “carrozzone” comunale ingovernabile. Eppure dopo il tragico crollo, ad agosto, del ponte Morandi a Genova non si può dire a cuor leggero che l’affidamento a terzi, nel caso concreto una società controllata dai Benetton, di un servizio pubblico come autostrade sia sinonimo di sicurezza ed efficienza.

Come sempre, quindi, la situazione è molto più complessa e l’occasione del voto può essere, come in parte sta avvenendo, l’occasione per discutere responsabilmente su temi determinanti della vita collettiva. Anche perché il referendum è consultivo, cioè non decide direttamente in un senso o nell’altro ma può indicare alla amministrazione cittadina un orientamento da seguire solo se andranno alle urne almeno 800 mila elettori, cioè il 33% degli aventi diritto.

Nelle ultime elezioni del giugno 2018, relative ai municipi III e VIII, l’affluenza non ha superato il 27%, decretando comunque, in questo caso, la vittoria di candidati del centrosinistra. Lo sfavore verso la sindaco Raggi sembra presagire una mobilitazione significativa per l’11 novembre, una sorta di avviso di sfratto alla giunta pentastellata accusata, tra l’altro, di aver ostacolato l’indizione del referendum e di agire, in maniera contraddittoria, contro la pratica della democrazia diretta.

La proposta dei radicali italiani

La proposta referendaria arriva da quella parte dei radicali italiani, come Emma Bonino, presenti in Parlamento grazie all’alleanza elettorale con il Pd. Il portavoce del comitato promotore mobilitiamo Roma è il deputato Riccardo Magi, segretario nazionale di Radicali italiani. Ci tengono a precisare che non intendono affatto privatizzare l’azienda ma «mettere a gara il servizio di trasporto».

Il primo quesito del referendum che chiede un SI o un No è questo: «Volete voi che Roma Capitale affidi tutti i servizi relativi al trasporto pubblico locale di superficie e sotterraneo ovvero su gomma e su rotaia mediante gare pubbliche, anche a una pluralità di gestori e garantendo forme di concorrenza comparativa, nel rispetto della disciplina vigente a tutela della salvaguardia e la ricollocazione dei lavoratori nella fase di ristrutturazione del servizio?».

Il secondo quesito allarga ancora di più la concorrenza nello stesso tratto affidato al servizio pubblico. Ecco il testo della domanda: «Volete voi che Roma Capitale, fermi restando i servizi relativi al trasporto pubblico locale di superficie e sotterraneo ovvero su gomma e rotaia comunque affidati, favorisca e promuova altresì l’esercizio di trasporti collettivi non di linea in ambito locale a imprese operanti in concorrenza?».

Per i radicali l’Atac non può più svolgere il servizio in maniera efficiente. Ormai non riesce a coprire il contratto di servizio che prevede 101 milioni di chilometri percorsi dai mezzi ogni anno. Nel 2017 ne ha coperti solo 84.

Pesano i debiti che ammontano a 1,3 miliardi di euro, i bilanci annuali in perdita per milioni di euro e l’organizzazione interna determinata da accordi corporativi tra dirigenza e le numerose sigle sindacali.

L’azienda è, da dicembre 2017, stata ammessa dal   tribunale fallimentare allo stato di concordato preventivo, la procedura cioè che prevede un piano di risanamento industriale assieme alla sospensione, rateizzazione e riduzione dei crediti, molti dei quali si ritengono sovrastimati. Per il 19 dicembre è attesa l’approvazione definitiva del piano di rientro da parte dei numerosi creditori di Atac. Il credito del comune di Roma per 500 milioni di euro sarà ripagato in 30 anni.

 

 

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