Robin e Lauren, le loro stelle continueranno a brillare

Williams e Bacall, queste due grandi star di Hollywood sono scomparse nei giorni scorsi lasciando un grande vuoto nel mondo del cinema e tanti film indimenticabili
Immagine da L'attimo_fuggente di Valerio79

Due stelle sono scomparse dal firmamento virtuale di Hollywood, dopo aver brillato con intensità per anni. Nate a ventisei anni di distanza una dall'altra, appartenenti a età diverse dell'industria cinematografica americana, si sono spente quasi insieme, con finali molto diversi. Per consunzione la prima, Lauren Bacall, quando già la sua luce era fioca, e il suo mito e la sua leggenda già grandi. All'improvviso la seconda, Robin Williams, con un bel pezzo di strada ancora davanti, con diversi film già impacchettati e pronti ad incontrare il mondo. Nel pieno dello scintillio, l'attore si è fermato. Con un colpo di buio cupo ed improvviso, ha detto basta. Una stella caduta senza preavviso, uno schiaffo di tristezza al cuore di diverse generazioni. Per Hollywood sono già punti fermi della sua storia, pilastri solidissimi del grande cinema americano. Monumenti da qui all'eternità.

Lauren Bacall se ne è andata a quasi novant'anni, con un congedo classico come il cinema a cui è appartenuta. Lontano e ancora bellissimo, immortale come la sua gioventù in bianco a nero tra le braccia di Humphrey Bogart, suo amore nella vita, da quando, nel '44, sul set di Acque del Sud – esordio assoluto per l'attrice – se ne stava seduta al tavolo del suo camerino a pettinarsi. Il regista era Howard Hawks e Bogart entrò, ufficialmente per dirle buonanotte. Invece si chinò e le prese il mento tra le mani. La baciò e le chiese di scriverle il telefono su una scatola di fiammiferi. Lei obbedì e non si lasciarono mai più. Nella vita e nemmeno nei film.

Si sposarono, ebbero due figli e interpretarono assieme altre tre opere. L'isola di corallo di John Huston, del 1949, La fuga di Delmer Daves, del 1947, e soprattutto Il grande sonno del 1946, capolavoro diretto nuovamente Howard Hawks, l'uomo rapito dal volto di una certa Betty nata a New York nel 1924, il maestro che la vide sulla copertina della rivista Harper's Bazaar e la cercò. Per dirle che da allora si sarebbe chiamata Lauren e che se avesse seguito i suoi consigli ne avrebbe fatto una versione femminile di Humphrey Bogart. Lei disse: «ci sto!», e se qualcuno ci chiedesse oggi chi sia stata Lauren Bacall, basterebbe mostrargli i suoi occhi d'argento, lo sguardo brillante e spavaldo, acuto e secco, penetrante e sicuro. “The look”, l'ha soprannominata il Novecento, nel vederla attraversare decenni e decenni di cinema. Dal 1944 ai giorni nostri, da quel galeotto esordio di settant'anni fa precisi, alle recenti partecipazioni in opere d'autore come The walker di Paul Schrader, del 2007, o i primi due capitoli dell'incompleta trilogia di Lars von Trier: Dogville, del 2003, e Manderlay, del 2004.

Ere geologiche per una star, anche se Lauren (The look) Bacall si è presa le sue pause, deviando con eleganza e discrezione dalla strada dorata e maestra di Hollywood, verso il teatro e la televisione, cercando altrove pulsioni e risposte.  

Robin Williams è un'altra storia, gioiosa fino a ieri e dolorosa oggi, quando tutti si affrettano a rileggere quel sorriso dolce ed accogliente, morbido e tenero, come uno specchio di profonda malinconia. Mica vero, mica detto, mica tanto, anzi, quel ragazzo che avevamo scoperto in una serie televisiva piombata dall'America, che cantava «Mi chiamo Mork, su un uovo vengo da Ork», faceva soprattutto allegra simpatia. Si presentò così, anche se quell'alieno comicissimo era nato addirittura prima, in un'altra leggendaria avventura del piccolo schermo. Americana e poi di mezzo mondo: Happy days, colori caldi di uno spensierato vintage a cavallo tra i '50 ed i '60. L'America felice sulla carta, dove già da tempo c'era la bellissima Lauren Bacall, con fare sfrontato ed elegante, lo sguardo inconfondibile dal basso verso l'alto, ormai a colori. Le tinte calde di quel cinema la vedevano muoversi in pellicole di altri maestri: Vincente Minnelli (La tela del ragno, del 1955, e La donna del destino, del 1957); Douglas Sirk (Come le foglie al vento, del 1956), Michale Curtiz (Le foglie d'oro, del 1950) e John Negulesco, quello di Come sposare un milionario, dove l'attrice recita accanto Marilyn Monroe, diversissima da Lauren, più morbida nelle forme e più fragile nello spirito. La Bacall ha continuato il suo viaggio lasciando sentimenti e amici lungo la strada, incontrandone di nuovi e nuove Hollywood. Quelle di giovani maestri come Sidney Lumet (Assassinio sull'Orient Express, del 1974) o Rober Altman (Health, del 1980).

Ed è questo il sottile ed ideale punto di congiunzione tra Lauren Bacall e Robin Williams. Mentre l'attrice girava Health, l'attore era stato scelto per interpretare “Braccio di ferro” nel film Popeye, sempre di Altman. Aveva quasi trent'anni ed esperienze di teatro alle spalle. Mostrò tutto il suo talento. “L'Alieno” era sbarcato ad Hollywood e non l'avrebbe lasciata mai più. La sua faccia iniziò a prendere sfumature sempre nuove. Sarebbero nati personaggi meravigliosi, che fanno ridere e anche no.

Complessi, innovativi, mai banali. Un dee jay di guerra nel 1987 (Good Morning Vietnam di Barry Levinson), un insegnantedi “libertà” nel 1989, che si imprime come pochi altri personaggi nell'immaginario collettivo (L'attimo fuggente, di Peter Weir. Nella foto un'immagine tratta dal film). Non c'è nulla di comico e Robin è ormai libero da ogni pregiudizio della critica. Può fare tutto, per esempio un clochard ricco di profonda umanità (La leggenda del Re pescatore di Terry Gilliam, 1991), o Peter Pan (Hook diSteven Spielberg, 1991), oppure un babbo che si finge tata per riconquistare i figli (Mrs. Doubtfire di Chris Columbus, 1993). O ancora un robot che vorrebbe essere considerato umano perché prova sentimenti (L’Uomo bicentenario, ancora di Chris Columbus, 1999), oppure un'anima che prende consapevolezza della morte (Al di là dei sogni, Vincent Ward, 1998).

Tantissimi, i suoi personaggi, impossibile elencarli tutti. Doveroso racchiuderli tutti nello psicologo sensibile e capace di Will Hunting (Gus Van Sant, 1997): l'interpretazione che gli vale un Oscar come miglior attore non protagonista. Quella statuetta che Lauren Bacall ha sempre sfiorato, e che alla fine, nel 2009, il cinema le ha doverosamente donato alla carriera. Chissà, magari le due stelle si stanno raccontando come fu per entrambi quel momento. O forse no, meglio discutere dei film, più divertente che parlare di premi.

 

 

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